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Donatella Bizzotto

Vacanze al ciabòt


Per far contente due vecchie zie ultranovantenni di mio suocero, questa estate abbiamo passato con loro qualche giorno su al ciabòt tra le vigne nelle colline di Chieri. Ancora non so come siamo riusciti a starci tutti in quei quattro stanzini; il bagno, poi, è così minuscolo che sembra quello di una barca, che se uno ha il girovita largo per entrare deve tenere le mani in alto come nei polizieschi. Ma insomma, non ci si bada se prevale la voglia di stare insieme. Oltretutto, lassù l’aria è più fresca e la vista è magnifica.

Nel gruppetto c’erano anche i rispettivi figli delle zie: quello che da giovane aveva cominciato vendendo dischi e transistor e a detta di tutti somigliava a Porfirio Rubirosa e quello di corso Belgio con signora, campioni di pinnacola a coppie all'Unitre Vanchiglia. In più, a turno, ma solo per mangiare in compagnia o giocare a carte all'asino, c’era sempre qualche parente alla vicina e alla lontana che poi tornava a dormire a casa sua. E naturalmente il nostro cane.

La prima sera eravamo fuori a goderci il fresco e il profumo dei tigli in fiore che si spandeva nell'aria annunciando il trionfo dell'estate. Si stava così bene alla bianca luce della luna che ci sentivamo tutti ispirati, tanto che mio marito si è messo a declamare quella bella poesia di Leopardi del pastore cinese che comincia con Che fai tu, luna, in ciel? Avevamo appena finito di applaudire, che si è sentito un batter d’ali vicino vicino.

“Sarà mica un pipistrello?” Ha chiesto mia suocera mettendosi il golfino di cotone in testa per ripararsi i capelli. A questo punto sono cominciati i problemi perché abbiamo scoperto che il cugino dei dischi, che a sentir lui non ha paura di niente e ti sa fermare con un’occhiata, ha il terrore delle civette e fra i rami dei tigli ce n’era proprio una che non la smetteva di cantare. Ho provato a dire che sono uccelli innocui ma mia suocera, ogni volta che quella apriva il becco per stridìre, proclamava solenne: “Annuncia una morte”. E così, tra un eh sì e un oh già di mio suocero e del cugino di corso Belgio che si facevano l’occhiolino, son partite storie e leggende sugli spiriti, sui cimiteri e compagnia bella. Non vi dico il cugino dei dischi; cercava di darsi un contegno ma si vedeva che era impressionato da come lanciava sguardi preoccupati verso gli alberi; gli sembrava che la civetta fissasse proprio lui.

Intanto, fra una storia e l’altra era venuta l’ora di andare a dormire ma niente, lui indugiava e perdeva tempo finché alla fine ha confessato: era mica che la civetta lo aveva individuato come prossimo morituro per via del suo colesterolo alto? “Era meglio se andavo a Laigueglia al mare”, sospirava, “e anche se prendevo le statine.”

“Suma bin ciapà”, borbottava il cugino di corso Belgio (e anch’io, veramente), anche perché le magne* avevano già preso la pastiglia per dormire e cominciavano a sbadigliare.

E’ stato allora che mio suocero si è ricordato dei petardi. E mia suocera: “Petardi? A ‘sta ora? Per far che?”

E lui: “Ma per scacciare la civetta, no?” E mentre rovistava in un cassetto, si è messo a spiegare che in primavera ne aveva portato lì al ciabot per allontanare i colombi, ma poi non c’era stato bisogno di usarli.

Ho dato un’occhiata veloce a mio marito, era lì che alzava gli occhi al cielo.

A ‘sto punto, i tre cugini son rimasti alzati e noi siamo andati a dormire. A dormire si fa per dire perché le zie avevano cominciato a russare così forte che se veniva l’Arpa le multava per i troppi decibel. In più, ogni volta che la civetta stridìva, scoppiava un petardo, il cane abbaiava e mia suocera e la cugina di corso Belgio strillavano uh!, oh-basta-là e altri complimenti. Mancavano solo i 4+4 di Nora Orlandi che per chi non lo sapesse erano dei coristi di quando la televisione era in bianco e nero. Insomma, una musica che non vi dico, altro che i dolci suoni della campagna che conciliano il sonno.

Alla fine in qualche modo è arrivata mattina e durante la giornata le più vispe erano le due magne, si capisce. Ma alla sera la civetta era ancora lì e siccome i petardi erano finiti, il cugino dei dischi si è trovato vicino al bicchiere una pastiglietta bianca.

Silenzio.

“Cos’è?”, ha chiesto, ma un presentimento ce l’aveva.

E noi in coro: “La pastiglia per dormire così non senti quella lì che canta”, e tutti i nostri occhi han seguito il percorso della pastiglia da dentro alla sua bocca finché è andata giù.

L’indomani ci siam svegliati tutti belli freschi che avevamo dormito come tanti angioletti. Viva la vendemmia, viva la parentela, ma l’anno prossimo… ciau bale!

(*) Magna: zia in piemontese


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