I cavalli immortali
- Donatella Bizzotto
- 24 ago
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 4 set
Una pesca di beneficenza, quattro cavalli di ceramica e un finale inaspettato. Il curioso destino di alcuni oggetti a cui sembra impossibile dire addio.

I nuovi vicini se n'erano appena andati, ma sul tavolo della cucina c'era ancora il loro regalo.
Clelia e Sestilio avevano insistito per ringraziare i miei genitori dell'aiuto per le formalità burocratiche del loro cambio di residenza. "Se non lo accettate, ci offendiamo", avevano detto.
Il pacco, voluminoso ed abbellito da una grossa coccarda, era sul tavolo della cucina con noi quattro seduti attorno concentrati in un unico pensiero: “Cosa ci sarà dentro?”
"Beh, non ci resta che aprirlo", disse papà, e prese il coltellino svizzero dal cassetto della credenza. Sfilò la piccola lama e iniziò. L'unico suono nella stanza era il fruscio della carta che si apriva.
Quello che vedemmo ci lasciò a bocca aperta. Era una scultura in ceramica di quattro cavalli color bronzo cangiante con dorature sulle code e le criniere al vento, grande più o meno 50 centimetri per 50. Un orologio era incastonato al centro.
La mamma, che detestava i soprammobili e preferiva le linee semplici, si impuntò: "Sono stati gentili mai io un catafalco così non lo voglio nemmeno vedere!" sbottò. Però lo guardava eccome, e malamente.
A papà scappava da ridere ma si ricompose. "Lo so, lo so", mormorò accomodante, "ma come facciamo? Ci resterebbero male." Si grattò la nuca. "Facciamo così: mettiamo i cavalli in cameretta, per qualche mese, e li tiriamo fuori solo quando Clelia e Sestilio ci verranno a trovare. Un buon compromesso, no?"
"Va bene, poi qualcosa ci inventeremo", accettò la mamma, un po' meno risoluta.
Venne l'estate e, come ogni anno, la parrocchia organizzò la solita pesca di beneficenza per Ferragosto. I fedeli erano invitati a portare oggetti nuovi o usati, purché in buono stato. Tra i premi, oltre a lampadari donati dalle aziende locali, c'erano manufatti in legno e ferro battuto, presine all'uncinetto, sciarpe, articoli per la casa, libri, perfino un paio di stivali di gomma; e poi caramelle, quaderni, penne, mollette… Quell'anno, tra i regali mai utilizzati, entrarono al galoppo anche i nostri cavalli.
Senza di loro, la cameretta ci apparve subito più grande e luminosa.
Il giorno della pesca, papà acquistò i biglietti e li fece estrarre a mia sorella, che aveva solo 7 anni.
Io ero nello staff: dovevo trovare l'oggetto corrispondente al numero e consegnarlo al vincitore. Ivana vinse una trombetta di carta, un pettine di plastica, un calzascarpe rosso di metallo (che abbiamo ancora), cinque caramelle Pip e una candela. Restava un biglietto. Il numero era piuttosto alto, ma non mi ricordavo a cosa corrispondesse. Forse una lampada...
Un ragazzo mio collega si arrampicò come uno stambecco sull'impalcatura e scese agilmente con uno scatolone. Lo riconoscemmo subito: lì dentro c'erano i cavalli! Che fare?
Papà tentò di lasciarlo in palio, ma le vincite si dovevano ritirare. Così, mentre cercava di trattenere una risata, posò il pacco sul tavolo della cucina un'altra volta. Evito di descrivere l'espressione di mia madre, che in quei giorni aveva deciso di disfarsi di tutto ciò che occupava spazio inutilmente. Prese il pacco e lo mise vicino a un altro, di dimensioni simili, che conteneva un portavasi di ferro battuto con troppi ghirigòri.
"Li porteremo al Centro giovanile", disse facendomi l'occhiolino. "Anche lì hanno in programma una pesca."
Al Centro trovai altri amici. Mentre consegnavo i due pacchi, non riuscii a trattenermi: "Ragazzi, devo raccontarvi cosa ci è capitato!" Iniziai la storia di come i cavalli fossero usciti dalla porta per rientrare dalla finestra. I miei amici scoppiarono a ridere, immaginando la faccia di mia madre, specialmente l’espressività del suo sguardo. Due ragazzi imitarono un nitrito di benvenuto ai cavalli ma ad uno riuscì male, sembrava un raglio, e le risate si fecero ancora più forti.
Fu in quel momento che lo vidi. Sestilio, il nostro nuovo vicino, era in fondo al salone e stava guardando incuriosito il nostro gruppetto allegro. Non riuscivo a capire se stesse sorridendo o meno. Il sangue mi salì al viso in un'ondata di imbarazzo, facendomi diventare rossa come un peperone. "Avrà sentito? Che figuraccia!" pensai, il cuore che mi batteva all'impazzata.
Un ragazzo più grande capì la situazione e mi venne in soccorso.
"Ehi, ti stavi dimenticando l'orologio!" mi disse a gran voce, con un'aria cospiratoria. "Non l'avevi appena fatto riparare?"
Colsi al volo l’imbeccata. Afferrai il pacco, salutai frettolosamente tutti e mi precipitai fuori con i cavalli. Per strada, abbracciata allo scatolone, faticavo a vedere dove mettevo i piedi, ma sentii salirmi in gola un'incontenibile voglia di ridere. Appoggiai il pacco per terra e proruppi in una risata fragorosa, a crepapelle. Dovevo riportare a casa quei quadrupedi, e già immaginavo la scena che mi si sarebbe presentata. L'aplomb di mio padre, la mimica di mia madre. Non aggiungo altro.
Quella sera sentimmo il campanello suonare. Era Sestilio, preoccupato di averci regalato un orologio guasto. Mamma lo tranquillizzò: era una cosa da nulla, il loro regalo era vivo e vegeto!
"Di più: immortale!", concluse papà, guardando divertito di sottecchi la reazione di mamma.
Il mattino dopo, fui svegliata da un rumore di cocci. Mamma stava cambiando il destino dei cavalli con il pestacarne. I loro resti sono ancora tra la terra del nostro giardino.

Morale della storia. Quando un oggetto indesiderato torna indietro come un boomerang, dimostra che i regali più indimenticabili non sono quelli che si scelgono, ma quelli che vogliono restare con noi, portando risate e inaspettate lezioni di vita.
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