Il baccalà
- Da un buffo incontro la ricetta di un antipasto per la vigilia di Natale -
Era un venerdì di una ventosa e calda mattinata estiva nei primissimi anni Sessanta. Un’elegante automobile bianca si fermò sobbalzando in piazza Marconi, all’altezza della fermata delle corriere che andavano a Feltre. Ne scese un tizio corpulento e abbronzato, poteva sembrare un distinto villeggiante. Allora non avrei saputo dargli un’età; oggi penso che fosse stato sulla quarantina o poco più. Indossava scarpe chiare di tessuto, pantaloni bianchi con la piega il cui tessuto leggero spostato dall’aria lasciava intravedere la dimensione sottile delle gambe e retti da una cintura di pelle intrecciata che disegnava sull’addome tondeggiante una specie di equatore, una camicia azzurra a mezze maniche con un fazzoletto bianco piegato nel taschino come nelle giacche. I suoi capelli erano chiari, così bagnati da sembrare incollati e divisi ordinatamente da una riga laterale che neanche il vento riusciva a spettinarli. Si soffermò in piedi tra la portiera aperta e l’auto con un gomito appoggiato sul tetto del veicolo guardandosi intorno come a cercare qualcosa o qualcuno.
A quei tempi piazza Marconi era un crocevia molto frequentato. Vi si affacciavano negozi di ogni genere, due laboratori artigianali, un albergo, due bar, l’ufficio postale, una rivendita di bombole del gas, il posto di telefono pubblico, la caserma dei carabinieri, il municipio, la cassa di risparmio, l’ambulatorio del medico condotto e della levatrice; c’erano le fermate delle corriere per Feltre e Valdobbiadene, due servizi di autonoleggio. Le persone la attraversavano percorrendo i suoi vialetti verdi di bosso, oppure sostavano sulle numerose panchine di ferro o di pietra per ristorarsi all’ombra dei frondosi alberi che ne disegnavano il perimetro. Era, in buona sostanza, una piazza multitasking, il centro nevralgico del paese. Ma quel giorno, a quell’ora prossima a mezzogiorno, non passava nessuno vicino al tizio che mi sembrava un villeggiante. Forse fu per questo che si rivolse a me.
“Gentile signorina, sono l’avvocato Ormesìni,” - e si inchinò – “sapresti dirmi dove vendono il baccalà messo a mollo nell’acqua? Mi serve per preparare il baccalà mantecato.” E mentre parlava si asciugò la bocca con il fazzoletto.
Mia nonna, che non mi aveva perso d’occhio un istante, si materializzò e rispose per me.
“Sì, avvocato, il baccalà lo trova dai Fàvero, qui vicino. Ci vogliono due minuti. Donatella, accompagna il signore.”
Ci incamminammo.
“Signorina, ti piace il baccalà?”
A me, all’epoca, piaceva solo il tonno sott’olio ma non glielo dissi, mi sembrava di deluderlo. Con il capo feci un cenno di assenso, piccolo, che rendesse la bugia meno grave.
“Sai come si prepara il baccalà mantecato?”
Non lo sapevo.
Mi squadrò sprezzante da capo a piedi. “Sei un’ignorante. Adesso te lo spiego.”
Non andavo ancora a scuola e non avevo ancora un’idea precisa di cosa significasse la parola "ignorante", però non mi piacque che me lo dicesse in quel modo.
Si asciugò la saliva che gli usciva copiosa e iniziò una lezione preliminare alla ricetta vera e propria: “Il baccalà tipo Ragno è il migliore. Ripeti, signorina.”
Mentre ripetevo lui si asciugava la bocca e deglutiva, forse aveva già l’acquolina immaginando il baccalà mantecato che avrebbe voluto gustare. Aggiunsi che anche mio nonno Giovanni di Bassano sosteneva che il baccalà Ragno era il migliore, lui lo acquistava nella drogheria di piazzotto Montevecchio, vicino a piazza Libertà. Ci andavamo assieme in bicicl…
Mi interruppe alzando leggermente il tono della voce per richiamare la mia attenzione
“DEVE essere magro, essiccato, senza difetti e superare i 60 cm di lunghezza. Ripeti.“
Lo osservai. Un rivolo di saliva gli scendeva inarrestabile dall'angolo della bocca fino al mento. Si asciugò.
Mi accinsi a ripetere con malavoglia ma ormai eravamo all’altezza di via Forcellini, all’apice delle due aiuole triangolari di bosso davanti all’edificio dei Favero. Gli indicai il negozio fornendogli le informazioni che avevo appreso accompagnando la nonna: “Per il baccalà deve chiedere a Battista, è nel retro. Lo mette a mollo in bacinelle di metallo zincato e…”
B
Ormesìni non mi ascoltava più, stava già salendo i tre scalini con un balzo atletico. Io ero rimasta sul marciapiede, incerta se proseguire o tornare a casa.
Poco dopo lo vidi uscire dal negozio mogio mogio. Troppo tardi, il baccalà era terminato. Tornammo in piazza Marconi senza che nessuno dei due fiatasse, poi lui salì in macchina immusonito e se ne andò senza tanti saluti.
Il venerdì successivo lo vidi tornare in piazza Marconi con la sua elegante automobile bianca. Frenò sobbalzando all’altezza della fermata delle corriere che andavano a Feltre; doveva essere presto, perché era passata da poco la prima. Dall’altro lato della strada dove mi trovavo, lo salutai ricordandogli che non mi aveva insegnato tutta la ricetta.
Ma ormai non aveva più bisogno di me e non mi rispose nemmeno, avviandosi baldanzoso verso il negozio dei Favero. Che antipatico. Gli diedi un'ultima occhiata: si stava già asciugando la bocca; forse aveva l’acquolina immaginando il baccalà mantecato che presto avrebbe gustato.
Passarono anni prima che lo assaggiassi anch’io, precedentemente lo avevo sempre associato ai modi di Ormesìni e non mi attirava proprio. Forse, se avesse terminato di spiegarmi la ricetta…
Invece ci pensò la mia carissima amica Marusca che decise di prepararlo come antipasto ad una vigilia di Natale, e già il fatto che fosse lei la cuoca mi caricò di aspettative positive: infatti lo trovai così delicato e delizioso che compresi la gola imperiosa dell’avvocato e mi riappacificai con lui.
Vi giro la ricetta in breve. Si utilizza lo stoccafisso, preferibilmente qualità Ragno, che in Veneto viene comunemente chiamato baccalà; deve essere magro, essiccato e lungo 60-70 cm. Viene messo a mollo per almeno 24 ore cambiando spesso l’acqua in modo che perda un po' del sale e si ammorbidisca, poi viene cotto ed emulsionato con olio fino ad ottenere una crema, a cui si aggiungono aglio, prezzemolo e pepe. Si può servire con polenta (meglio bianca, dal sapore più delicato) o crostini, ottimo come antipasto durante pranzi e cene delle festività di fine anno.
I luoghi citati in tre foto
del 1958-1960
Mi ha colpito molto la cartolina in cui si vede l'edificio dei Favero e, a sinistra, la locanda Piave con annessi bar e tabaccheria separati da una via Nazionale frequentata e vivace, allora ancora strada statale.
Naturalmente Ormesìni è un nome di fantasia
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