Un desiderio esaudito
Il 16 maggio di sessant'anni fa – questa foto mi fu scattata a ridosso del mio settimo compleanno - avevo da poco ricevuto il primo regalo importante della mia vita e tagliato le trecce senza rimpianti. (Qui la cronaca del fatto).
L'anno successivo mia mamma organizzò una festicciola a cui avevo invitato la mia amica Rosetta e alcune delle mie nuove compagne di scuola con cui ero entrata in sintonia.
Era la mia prima festa e avevo elaborato una scaletta punto per punto: benvenuto, torta con spegnimento delle otto candeline che avevo ricavato da due candele benedette della Candelora e di San Biagio, giochi, macedonia di frutta animata da canzoni al giradischi, giochi, saluti. Non vedevo l'ora.
Il giorno prima c’era fermento in famiglia, tutti si stavano dando da fare per me: la Rosina aveva iniziato un triduo per affidarmi alla Madonna; nonna Regina mi aveva aiutato a confezionare una lunga catena di anelli di carta ricavati da avanzi di stelle filanti e vecchi numeri della Domenica del Corriere che papà aveva appeso con delle puntine agli stipiti di due porte del tinello; mamma aveva preparato tante cose buone che non vedevo l'ora di condividere con le mie ospiti, tra cui una profumatissima torta ricoperta con la glassa di zucchero e limone e codette arcobaleno. La parte che preferivo di quella torta era l'impasto che emanava un delizioso aroma di vaniglia.
Non so cosa mi prese in un momento che mamma era impegnata altrove: afferrai il cucchiaio di legno e lo affondai nella crema profumata, poi mi misi tutto in bocca, per assaggiare. “Mmmm, che buona”, pensai estasiata mente il sapore si diffondeva stimolando una indimenticabile festa sensoriale.
Ne assaggiai un’altra cucchiaiata. Eh sì, era proprio buona. E via con un altro assaggio, e poi un altro e un altro ancora.
Quando mamma tornò mi osservò la bocca, notò il cucchiaio e disse: "Temo di aver sbagliato le dosi e che la torta venga troppo piccola; meglio che prepari anche delle castagnole." E iniziò un altro impasto, questa volta aggiungendo uvetta, mentre la torta cuoceva.
"Chissà se questo impasto è buono come quello della torta", pensai.
E mentre mamma versava l'olio nella padella e stendeva i sacchetti di carta su cui posare le frittelle, volli verificare ricominciando con gli assaggi; solo due, però, perché pur trovando l’impasto cremoso molto buono e profumato, mi sentivo sazia.
Il giorno dopo mi alzai senza il mio solito appetito, mi sentivo strana. Mamma naturalmente aveva capito. “Forse è meglio rimandare la festa.” “Assolutamente no!”, esclamai. Tra poco mi sveglio, pensai. Ma a scuola ero distratta, avevo la testa pesante e non vedevo l’ora di tornare a casa. Non volli pranzare e me ne stetti pensierosa ad osservare mamma che apparecchiava la tavola per la festa.
“Sei ancora in tempo, se vuoi…” “No!”
Quando arrivarono le mie amiche festanti, io avrei voluto andarmene a letto. Mi spiaceva accoglierle in quel modo, mentre tentavo di aumentare inutilmente la curva del sorriso e invece mi sentivo come una vecchia ciabatta con la bocca sgraziata, lo stomaco pieno e il cuore triste. Tuttavia la cerimonia dello spegnimento delle candele attorno alla torta riportò l’allegria e per un momento credetti di star meglio; ma quando provai ad assaggiare una fetta di quel dolce che il giorno prima era stato una festa dei sensi, ondate di nausea si presentarono sempre più vicine e mentre dal giradischi Robertino cantava “Con un bacio piccolissimo” corsi in bagno a vomitare.
Dopo...
Aprii la porta e me le trovai tutte lì ad aspettarmi, disposte a cornice. Se mi sentivo meglio? Certo che sì, mai stata così bene!
Mi sentivo rinata e con ritrovata energia mentre giocavamo, cantavamo, ridevamo. Alla fine la festicciola riuscì e il pomeriggio passò allegramente. Ma sino all’indomani non volli proprio saperne di mettere in bocca qualcosa, il solo pensiero mi disturbava. Mi addormentai felice con lo stomaco vuoto e il cuore leggero, pensando che avrei voluto sentire quella bella sensazione di rinascita ogni giorno della mia vita.
Quel desiderio si è avverato nella maggior parte dei miei giorni. Ho imparato che vivere è impegnarmi a rinascere, a ricrearmi ogni giorno accettando e assecondando il cambiamento, dandomi vita e dando vita nella fedeltà a quello che sono chiamata ad essere e fare, con i miei talenti e anche con i miei limiti. In modo semplice, ordinario forse, ma unicamente nel modo in cui soltanto io posso fare, ricevere e donare.
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