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  • Donatella Bizzotto

Il mistero delle trecce scomparse


Mi sentivo al settimo cielo. Non solo ero riuscita ad avere le trecce come Patrizia anche se non belle lunghe come le sue, ma anch’io avevo finalmente una sorella! Quel giorno, il 29 aprile 1963, in attesa che arrivasse proprio lei - e non un fratello - recitai tante di quelle Ave Maria...


Era andata così: mamma doveva recarsi in ospedale per una visita ma non mi disse di che tipo. Io ero un po’ preoccupata perché la vedevo silenziosa e non capivo cosa la faceva star male. In realtà era iniziato il suo travaglio di parto e sentiva che le contrazioni si stavano infittendo, ma a quei tempi non avevo la minima idea di come nascessero i bambini. Era un argomento di cui avevo parlato con Patrizia, che di sorelle ne aveva già due, Mimma e Manuela; consultandoci anche con Daniele e Lucia, che avevano come sorelline rispettivamente Loretta e Antonella, la soluzione più accreditata era che i bambini uscissero dall’ombelico. E ci bastò.

Riflettei: forse mamma parlava poco perché aveva mal di gola… Ebbi un pensiero veloce come un lampo: non le avrebbero mica tolto le tonsille come a me quella volta? L’abbracciai e sottovoce le consigliai di tenere la bocca chiusa durante quello che doveva fare.


Nel frattempo ero stata affidata a Giorgia, la nonna di Daniele. Speravo di giocare con lui, ma quel giorno non c'era, aveva accompagnato per commissioni sua mamma e sua zia Giuse. Ero un po' delusa. Giorgia se ne accorse.

"Sai cosa ti dico, cara Donatella? Che mentre tua mamma è all'ospedale farò una bella torta da mangiare tutti assieme stasera!" Le mancava solo un ingrediente, però, così ci recammo nel vicino negozio di alimentari dei Durighello. Vedendomi con Giorgia la signora Durighello intuì e mi chiese: “Vorresti un fratellino o una sorellina?”

Non esitai un attimo. “Vorrei una sorella! Ma non so se…”

“Se vuoi sul serio una sorella”, intervenne Giorgia, “devi recitare molte Ave Maria. Se invece preferisci un fratello…”

Scossi la testa con energia: “No, no, una sorella!”

“Se invece preferisci un fratello, devi recitare molti Padre Nostro. Anche la mia Antonietta, la mamma di Daniele, voleva una sorellina. Ha recitato molte Ave Maria ed è nata la Giuse. Semplice.”

Strizzò l’occhio alla commerciante, poi però vide che la guardavo e se lo grattò come se le fosse entrato qualcosa. Forse avevo visto male. Decisi di ascoltarla. Quel pomeriggio pregai e pregai recitando un’Ave Maria dietro l’altra, finché mi addormentai.


Era sera quando papà mi svegliò. Era felice! “E’ nata, sai? Ora hai una sorellina. Vieni, dai, ti porto a vederla.”

Quando l’ostetrica me la mise in grembo, pensai che era proprio come piaceva a me e le avrei voluto bene per sempre.


Dopo qualche settimana…


“Tra due giorni verrà il signor Comaron per scattare le prime foto a Ivana. Anche a te, naturalmente.” Mamma mi sorrise mentre passava sulla testolina di mia sorella un batuffolo di cotone imbevuto di olio di oliva per ammorbidirle la crosta lattea.

“Non gliele togli quelle crosticine?”

“Non ora, solo quando si saranno ammorbidite. Userò il pettinino oppure questa”. E mi accarezzò una guancia con una piccola spazzola: la Rosina avrebbe detto che aveva le setole morbide come le piume delle ali di un angelo.

“Io gliele toglierei”, pensai.

Mamma mi lanciò un’occhiata. “Che non ti venga in mente di toccarle la testolina, capito? Potresti farle male senza volerlo!”

Ero sconcertata. Non era possibile che mi avesse di nuovo letto nel pensiero! Doveva proprio essere una magia delle mamme, perché Patrizia, Daniele e Lucia mi avevano confidato che anche le loro ci riuscivano. Così simulai indifferenza e con una manina di Ivana tra le mie cominciai a recitare: “Manìna bela, fata penèla…”


Passò qualche ora. Ivana dormiva tranquilla nella culla e io disegnavo. Mamma aveva appena tolto dal forno uno strudel che liberava il suo profumo in tutto l'appartamento e si era messa a lavorare ai ferri. Era velocissima e abilissima.

“Che sbadata!”, esclamò d'un tratto. “Mi stavo dimenticando del bucato; esco un momento a ritirarlo. Bada a tua sorella, mi raccomando! Ci metto un minutooo…”, e uscì.

Non aspettavo altro. Mi fiondai sulla mia sorellina. Presi il pettinino e iniziai a rimuovere dalla sua testolina le squame di crosta lattea ammorbidite dall’olio. Le prime si staccarono facilmente ma poi l’impresa cominciò a farsi difficile, non riuscivo a toglierle. Sulle piccole ciocche avevo formato un bel groppo e se tiravo tentando di scioglierlo Ivana piangeva. Non volevo certo farle male e così, per sveltire il lavoro, le tagliai i ciuffi di capelli aggrovigliati.

Feci appena in tempo a posare le forbici che mamma rientrò.

“Tutto bene, Donatella?”

“Sì sì…”

Qualcosa del tono della mia voce la insospettì e si avvicinò alla culla.




Oggi penso che se quella volta non mi tirò il collo, fu perché si sentì mancare. Non mi disse nulla ma mi guardò in un modo che mi sentii in colpa e scoppiai a piangere tentando di esporle le mie ragioni.

“Zitta, per favore.”

Arrivò papà. Forse lui avrebbe capito. Mi ascoltò, mi guardò serio serio, andò a controllare mia sorella e poi in cucina a parlare con mamma.


Io aspettavo la sentenza come una condannata a morte. Avevo deluso la mamma, avevo tagliato i bei ricciolini di mia sorella proprio quando doveva essere immortalata per la prima volta. E poi c’era in discussione il mio amor proprio: fino ad allora avevo pensato di voler fare la parrucchiera ma il risultato lasciava molto a desiderare.

Mangiai la minestra senza discutere come al solito (la minestra non mi piaceva) e mi spedirono a dormire.



L’indomani mattina mamma iniziò a pettinarmi per farmi le trecce. Non mi tirava certo i capelli ma non aveva la mano delicata come il solito, fatto sta che cominciai a lamentarmi che mi faceva male.

“Sta’ zitta altrimenti te le taglio, ‘ste trecce!”

La scena si ripeté una, due, tre volte e alla fine sbottai: “ Ma sì, tagliamele, non me ne importa niente.”

Non era vero ma non volevo darle soddisfazione. Invece, dopo che tornai da scuola, mi portò dritta dal parrucchiere e ZAC.




Beh, credevo che mi sarebbe dispiaciuto di più. Invece la presi con filosofia e pensai che avrei potuto pettinarmi da sola. In fondo adesso avevo una sorella e avrei giocato alla parrucchiera con lei.

Questa bella bambina è mia sorella Ivana nella foto del signor Comaron; quel giorno le aggiustarono un po' i capelli per rimediare al mio danno ma senza riuscirci troppo.

Qui l'ho trasformata in un tenero angioletto natalizio ponendole l'aureola dove le tagliai i ciuffi. Glielo dovevo.

Questa sono io dopo il taglio delle mie trecce.

Foto Comaron

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