L'ultima sfida della banda
- Donatella Bizzotto
- 1 giorno fa
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Nel paese ventoso, la collina degli aquiloni sorge in una posizione privilegiata e strategica. È il punto d'incontro ideale per le correnti d'aria che, incanalate dal profondo solco del fiume (un tempo letto di un ghiacciaio), soffiano con forza da monte a valle.
Da lassù, la vista sulla pianura è magnifica; uno sguardo che per qualcuno, nelle giornate più limpide, azzarda a toccare persino il mare. I dolci pendii delle Prealpi incorniciano la scena, creando uno sfondo pittoresco.

La Festa degli Aquiloni è un ricordo indelebile di metà percorso alle scuole elementari. Tutti gli alunni furono invitati a partecipare con il proprio aquilone. Alcuni se l’erano confezionato da soli, altri con l’aiuto delle maestre o di un adulto. Bastavano carta di riso colorata, sottili bastoncini di abete, spago e colla.
Ho ancora impresse nella mente, come una fotografia, l’allegria di quella giornata, la vivacità dei colori, l’impegno di chi voleva far volare il suo aquilone più alto degli altri. Vedendo volare quegli aquiloni mi sembrava di essere in un mondo magico, e ne rimasi completamente incantata.
Ma su una delle colline più vicine, c'era il cimitero. Si sparse in sordina, tra noi bambini, una voce inquietante: se un aquilone – non importa di chi – fosse sfuggito e fosse precipitato all'interno dei suoi alti muri, i morti lo avrebbero fatto sparire durante la notte. Pregai intensamente affinché questa sventura non toccasse mai a nessun compagno!
L’anno dopo...
In quarta elementare avevamo quasi dimenticato gli aquiloni. Il cimitero e le storie macabre su fantasmi e sepolti vivi, arrivate alle nostre orecchie - alle mie dalla Rosina con le storie di strighe e spiriti in azione tra il Sassumà e il Col dei Morosét - erano molto più allettanti pur incutendoci un'intensa paura.
Durante l'estate dei nostri 10 anni, apprendemmo dal fratello maggiore di Gina che intorno a Ferragosto, di notte, si sprigionavano le fiamme del Purgatorio da alcune tombe. Le aveva viste lui stesso, assieme ai suoi amici. Bisognava essere molto coraggiosi, disse, perché poteva capitare che delle mani fantasma tentassero di afferrarti e portarti sotto terra. Né io né i miei amichetti ci sentivamo tanto eroici e reprimemmo l'idea.

Giunse l'estate e con essa i villeggianti, con cui giocavamo nella piazza fino a che diventava buio. In realtà non era una vera piazza ma un giardino pubblico con alberi, arbusti e fiori di ogni tipo e, al centro, uno spiazzo con diverse panchine e una fontana ottagonale zampillante.
Fu Marino, un nostro coetaneo villeggiante, a riportare l'attenzione su fantasmi e cimiteri. Ci sentivamo grandi, presto avremmo iniziato la quinta, perciò anche coraggiosi! Maturammo insieme l'idea di osservare da vicino le fiamme del Purgatorio. Eravamo impauriti ma anche determinati a percorrere la strada sterrata e silenziosa che portava al cimitero.
Ci incamminammo apparentemente spavaldi. Ma quando arrivammo al boschetto dei noccioli, completamente al buio, sentimmo strani rumori. Il panico prese il sopravvento: senza pensarci un attimo, ce la squagliammo a gambe levate, il cuore in gola, per rientrare al sicuro nelle nostre case.
La mattina dopo, ancora vergognosi della fuga, decidemmo di riprovare.
Quella sera, dopo cena, con il paese illuminato per i festeggiamenti di Ferragosto, ci incamminammo nuovamente per la strada buia e silenziosa che portava al cimitero. Nei pressi del noccioleto ci prendemmo per mano e proseguimmo.
Arrivati allo spiazzo davanti al cimitero, i nostri cuori battevano all'impazzata.
Spingemmo il cancello di ferro, che protestò con un lungo, raccapricciante cigolio, e ci addentrammo lentamente fra le tombe. Scrutammo l'oscurità con il fiato sospeso: tutto era immobile, senza tempo, celato dal buio. Le fiamme del Purgatorio non c'erano ancora; non restava che aspettare.
D'un tratto, sentimmo uno sferragliare di catene, poi dei passi sulla ghiaia e infine vedemmo delle piccole fiammelle che si muovevano su e giù, accompagnate da gemiti terrificanti e disumani. Immaginate la nostra paura!
Poi, inspiegabilmente, udimmo un risolino soffocato, subito tramutatosi in risate fragorose e incontenibili. Li riconoscemmo: erano il fratello di Gina e i suoi amici che avevano voluto farci uno scherzo.
Avessimo potuto, li avremmo picchiati. Ma poi l'allegria prese il sopravvento e ce ne tornammo tutti insieme verso il luogo in cui si festeggiava l'estate.

NdA: I fatti sono realmente accaduti. Per gli amici della banda ho usato nomi di fantasia




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