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Il profumo della piana e la magia del lago

  • Immagine del redattore: Donatella Bizzotto
    Donatella Bizzotto
  • 27 ott
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 28 ott


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L'aria tra Caldonazzo e Levico, in quel tratto di piana accarezzato dal sole e dai due laghi, aveva il profumo inconfondibile delle mele mature. Era una fragranza dolce e aspra che, da fine estate a novembre,  faceva risuonare il paese e la campagna di una gioia semplice e operosa.


​Il Maso delle Mele Regine era uno dei cuori pulsanti di quel raccolto. Grande, solido, con le sue vecchie mura pronte ad accogliere il tesoro dei frutteti. Ogni mattina, il rituale era lo stesso: il nonno Ettore, il padrone gentile, attaccava il cavallo al carro. Il legno scricchiolava, le ruote cerchiate di ferro battevano sulla strada di campagna e il carro partiva vuoto, leggero e veloce, verso i filari.


​A riempirlo, provvedevano uomini forti e alacri,  sempre di buonumore. Portavano le gerle piene di mele verso il carro, spostavano le pesanti scale  di legno appoggiandole a punti sicuri dei meli su cui  le raccoglitrici si arrampicavano. Erano donne forti, veloci, pratiche. Per salire e scendere dalle scale senza impacci, avevano adottato la divisa non ufficiale della piana:  vecchi pantaloni da uomo larghi e comodi Non si usavano ancora quelli da donna o unisex, ma la praticità veniva prima di ogni convenzione.


Fra tutte, spiccavano Ada e Mari, le figlie di Ettore. Erano le più rapide, le mani che volavano tra i rami, e le più allegre.

Il loro chiacchiericcio vivace e le loro risate limpide creavano una melodia che accompagnava il lavoro faticoso.

​Ricordo un giorno in particolare, quando ero finalmente "un po' più grande". La mattina aveva un sapore speciale, un misto di rugiada e attesa. Nonno Ettore mi fece salire sul carretto accanto a lui, noi due soli.  Era un onore, un lasciapassare per il mondo degli adulti.

​Arrivammo ai frutteti, e fui sbalordita dal lavoro. Le mele, rosse e gialle, pendevano come gioielli. Ada e Mari si arrampicavano sulle scale, le guance rosse per la fatica e il divertimento, e riempivano con precisione le gerle di quel tesoro.


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Quando il carro fu pieno, le mele profumate e succose formavano una montagna traballante. Il profumo era così intenso che pareva di poterlo toccare. Nonno Ettore si sistemò sul sedile, diede un colpo di redini e il cavallo si mise in marcia, lento e cadenzato, trascinando il carico prezioso verso il maso, lungo la carrareccia che costeggia la ferrovia. Io, seduta accanto, guardavo il sole che filtrava tra le foglie, la maestosa locomotiva del treno che sbuffava e salutava con un fischio noi e gli altri carri agricoli nel loro andirivieni.

​Era così, tutto il giorno: un ciclo di profumi, voci allegre e duro lavoro, che legava la terra, le famiglie e il destino di benessere di quella splendida piana. Un ricordo che sa di mela e di strudel.

 

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​Ma c'era un altro luogo che mi attivava: il lago.

​Quando si poteva, andavamo lì. Ricordo le passeggiate lungo le sue rive, un lusso che oggi sembra perduto.

A quell'epoca, il lago era una tela blu e verde, quasi intoccata. Le sue sponde non erano ancora assediate dalle lunghe file di camping e dalle strutture turistiche che sarebbero arrivate dopo. Ospitavano poche barche ad uso dei pescatori e dei villeggianti, e qualche pontile.

​La riva era nostra, silenziosa. L'acqua limpida lambiva la ghiaia sabbiosa, si  avvertiva il fresco sentore di terra bagnata e di profumi della natura.. Non c'era il rumore costante dell'estate moderna; solo la brezza, il battito leggero delle onde e, a volte, le voci tranquille dei pescatori sicuri di riempire il secchio di metallo di trote, o coregoni, lucci, scardole, pesci gatto.

​Lungo quelle rive solitarie, mi fermavo a giocare. Era un piccolo mondo, tra i meleti patriarchi  e le sponde sabbiose del lido san Cristoforo.


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Ho 4 anni, gioco sul lungolago. L'aria è fresca e pulita, e lo specchio d'acqua scintillante riflette le cime che circondano l’Alta Valsugana.

​Per me, il lungolago non è solo passi e panchine, ma il confine di un regno. Mia mamma, a pochi passi dietro, rappresenta la sicurezza, la realtà; ed io, con un piccolo scatto di libertà e un sorriso furbo, mi distanzio appena. Non .è disobbedienza, ma un urgente bisogno di solitudine per vivere la magia:

Mamma è il porto sicuro, ma il mio mondo è appena oltre il suo sguardo.

La ghiaia diventa la sabbia luccicante delle spiagge dei pirati e le papere sulla riva si trasformano in folletti acquatici che mi salutano con il loro rauco guà guà. Il suono delle onde minute che si infrangono è  la lingua segreta del lago.

​Poi, l'oggetto della mia vera avventura: un pontile di assi di legno. Ruvido, scricchiola leggermente sotto i passi.

È  la linea retta che mi separa dal mondo reale. Non è un semplice attracco per le barche: è la passerella  che conduce al cuore  del lago.

​Un passo dopo l'altro, il mondo alle sue spalle si riduce. La voce della mamma è un richiamo lontano, quasi un sussurro del vento: “Non sporgerti!” L'acqua sotto le fessure delle assi è un blu profondo e misterioso, ed io  cammino con la solennità di una principessa.


​Il pontile si fa  più stretto, l'acqua più vasta. Il lago diventa una distesa infinita, uno specchio immenso. Il centro, il punto lontano in cui il blu si fonde con il cielo, è la meta dei miei pensieri: è lì che risiede il segreto, il tesoro, l'incantesimo in attesa.

​Mi fermo  in punta al pontile. Sollevo le braccia come per afferrare l'immensità, sono il navigatore solitario al centro del mio mondo fantastico, pronta a toccare, o forse a camminarci su, quello specchio d'acqua che, solo per me, contiene il mistero.





Questa bambina sono io a 16 mesi. Si può dire che abbia iniziato a camminare sul pontile, fin da allora il mio posto preferito.


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In questo ricordo ho cambiato il nome della fattoria mentre ho lasciato il nome del nonno Ettore, per onorarlo.

Ettore non era il mio vero nonno, ma il proprietario dell'appartamento dove vivevamo in affitto.

Ho bellissimi ricordi di quel periodo e della sua accogliente e simpatica famiglia.


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