Natale in pantofole
Accadde un paio di settimane prima di Natale. Ero in quinta elementare. Mi ero beccata una bella infreddatura e mi era venuta la febbre alta. Un guaio, perché stavamo preparando la recita di Natale, un adattamento de I ragazzi della via Pál.
Arrivò il medico. Mentre mi ascoltava i polmoni alla presenza del Trio (mia madre, mia nonna Regina e la Rosina) di colpo si ritrasse, riappoggiò il fonendo e socchiuse gli occhi per una maggior concentrazione. Contemporaneamente udii un imperioso ''Ssssst!'' di mia mamma per bloccare mia nonna che stava per dire qualcosa, interrotto da un'occhiataccia del dottore impegnato nella visita. Il quale, alla fine, sospirando emise il verdetto: i polmoni erano sanissimi ma aveva sentito un piccolo soffio al cuore. . ''UN SOFFIO AL CUORE?''', chiese il Trio all’unisono, dando seguito come un coro greco ad una serie di mariavergine, mariasantissima, iesumaria. All’inevitabile risposta affermativa seguì la dotta spiegazione ma non bastò, per loro il problema sembrava veramente difficile da metabolizzare. Sinceramente non stetti molto attenta, un po’ per la febbre e un po’ per tutto quel movimento di occhiate, sospiri ed espressioni costernate che le parole valvole e tricuspide avevano stimolato.
Mamma comunicò la notizia a papà. Decisero subito di farmi visitare da uno specialista così, dopo un breve conciliabolo, il Trio si divise i compiti indirizzando il raggio d'azione secondo le proprie attitudini: - mamma si informò, mi fissò l’appuntamento e mi comprò un paio di pantofole ordinandomi di non correre né saltare; - nonna Regina consultò la sua Enciclopedia medica per la famiglia Fabbri editori che aveva acquistato sino al volume della F di fegato perché quel che veniva dopo allora non le interessava; - la Rosina cominciò a raccontare a me e mia sorella una delle sue fantastiche storie e subito dopo iniziò una novena a Santa Rita e Sant’Antonio da Padova, dei veri esperti nel settore dei casi disperati.
Due giorni dopo stavo benissimo e mi vestii per andare a scuola. Ero già sulla soglia di casa quando mia madre mi fermò. Dove pensavo di andare con le scarpe? Che tornassi subito indietro e mi mettessi le pantofole, che non dovevo né correre né saltare, e poi mi avrebbe accompagnata lei. Devo essere ben malata, pensai, visto che l’ultima volta che lo aveva fatto risaliva al mio primo giorno di scuola. Lungo il tragitto cercai di darmi un tono consono al mio stato - a quell’età ero un’Anna dai capelli rossi - trattenendomi dal saltellare e salutando tutti con un fil di voce. Che barba essere malati, pensavo guardando un po' invidiosa i miei compagni che scorrazzavano pieni di salute per i corridoi. Qualcuno di loro mi chiese come mi sentivo, ad essere malata. Non sapendo cosa rispondere, dato che stavo benissimo, feci ruotare una mano davanti al cuore con un’espressione che voleva dire "Per me, ormai…" ma mi ripresi moderatamente non appena la maestra mi chiese preoccupata se mi sentivo di partecipare alle prove della recita. . Venne il giorno della festa. Davanti al pubblico dei genitori, autorità e maestre in pensione, ogni classe si esibiva in canti natalizi, poesie e rappresentazioni teatrali prese da racconti per ragazzi. Alla fine veniva assegnato il premio della bontà al bambino più buono e più studioso di ogni classe.
A metà mattina toccò a noi. Io avevo la parte di Nemecsek, e come nel romanzo a un certo punto dovevo morire da eroe. Non vi dico con quanta partecipazione e quanto strazio Bruna alias Boka ed io ci abbracciammo nel nostro ultimo incontro. Mentre ero lì, ormai senza vita tra le braccia di Boka e attorniata dagli amici della Società dello Stucco arrivati troppo tardi, tra gli applausi calorosi e commossi, mi immaginai di essere una grande attrice su cui calava drammaticamente il sipario della vita. (Ve l’ho detto che ero melodrammatica) Poi ci inchinammo al pubblico, ringraziammo e ci precipitammo sul piccolo buffet. Non mi ero mai sentita così bene. . Il cardiologo mi visitò prima dell’Epifania, il soffio era sparito. Come prima cosa, appena arrivata a casa, nascosi le pantofole. Poi presi la slitta ed andai con Rosetta a giocare sui brevi pendii innevati vicino alla sua casa.