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Donatella Bizzotto

L'uovo benedetto

A volte ciò che rende diverso un cibo è l'intenzione di una comunità che gli assegna una funzione che va oltre le sue caratteristiche fisiche.


Passavamo le feste pasquali da mia nonna Regina la quale, scoprii quell’anno, teneva particolarmente alla tradizione che nella domenica di Pasqua si iniziasse tutti insieme la prima colazione con l’uovo sodo benedetto.

Il sabato santo lei e la Rosina bollivano le uova in acqua e bucce di cipolla bionda per farle diventare gialle. L’indomani, le avvolgevano in un fazzoletto candido chiuso ai quattro angoli e le portavano alla prima messa per farle benedire; a casa, poi, le dividevano in porzioni più o meno grandi a seconda dell’età e le distribuivano a ciascuno con la raccomandazione di mangiarle ‘con devozione’.

''Come si fa a mangiare con devozione?'', provai a chiedere.

''Magna e tasi.'', troncò mia nonna a occhi chiusi.

''Ssssst!'', fece la Rosina.

Ah ecco, pensai, mangiare con devozione significa mangiare in silenzio.


Oggi non si crederebbe che a quei tempi – avrei compiuto sei anni di lì a poche settimane – avessi avuto gusti culinari molto selettivi; l’uovo, in particolare, mi piaceva solo al burro oppure, proprio per fare una concessione, sbattuto con molto limone. L’idea di mangiare un quarto di uovo sodo proprio non mi andava giù. Chiesi di essere esentata dal rito ma niente. Allora provai a trattare: forse, se qualcuno mi avesse preparato l’uovo al burro… Macché. Anzi, mi sentii rispondere con un tono che non ammetteva repliche:

''Mangialo, è benedetto!''

E la Rosina: ''E’ buono!''

Se lo dice la Rosina dev’essere vero, pensai. Vinsi il disgusto e me lo misi in bocca. Il sapore era tale e quale a quello dell’uovo sodo che ogni tanto mi toccava mangiare; forse me ne avevano dato uno che non era stato benedetto! Avrei voluto sputarlo ma in quel momento mi arrivò uno scapellotto delicato quel tanto che basta per farmi deglutire il boccone.


Dopo la messa mi consolai scoprendo che la sorpresa contenuta nel mio uovo di cioccolato al latte non era il solito portachiavi ma un bellissimo anello di plastica giallo oro con tanto di brillante rosa fucsia. Decisi che l'anno dopo avrei chiesto alla Rosina di far benedire un uovo così.

Invece l'anno seguente me ne dimenticai, perché stavo per cambiare scuola e soprattutto perché aspettavo che nascesse mia sorella. Così mi toccò mangiare di nuovo l'uovo sodo benedetto, ma nell'attesa di lei tutto mi sembrò più buono, anche quello.


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