La magia della latteria
In via Nazionale, più o meno all'altezza del n° 76, c'era la latteria. Si entrava dal cortile nel quale troneggiava un enorme albero che durante la calura estiva offriva buona ombra mentre la sera, dalle sue fronde, si alzavano veloci e oscuri pipistrelli. La latteria non era rinomata, probabilmente in quegli anni ce n'era una in ogni paese, ma per me era un luogo davvero speciale. Era situata nel lato a mezzogiorno di un palazzetto che nell'800 fu di discreto pregio architettonico. Salendo i pochi gradini un riconoscibilissimo odore di siero di latte preannunciava il culto a cui quel luogo era destinato. All'interno tutto era lindo. C'erano due locali ariosi e comunicanti: uno era destinato alla vendita e l'altro alla produzione. In quest'ultimo grossi recipienti di metallo, alcuni colmi di latte, riflettevano la luce che li illuminava. Pavimenti e pareti erano rivestiti di mattonelle sempre pulite. Tutto intorno indicava operosità.
In principio, la mattina e la sera dopo la mungitura delle loro mucche, i contadini portavano il latte nei secchi attaccati agli uncini del bigollo, un bastone arcuato; poi i secchi furono sostituiti da bidoni di alluminio che si potevano attaccare al manubrio delle biciclette. Ma nel viaggio di andata nessuno si attardava a parlare lungo la via: prima la consegna!
Ritenevo eletti e fortunati coloro i quali lavoravano nella latteria, e con compiti misteriosi poiché, quando ci era concesso di entrare, avevano già terminato il loro lavoro e li vedevo già concentrati a ripulire gli attrezzi e a lavare con forti getti d'acqua il pavimento, aiutati da scope di saggina. Attraverso lo sportello esploravo con lo sguardo quella che io chiamavo la sala dei recipienti; qualche volta, arrivando presto, intravedevo un operaio occupato a mescolare il liquido bianco con un lungo bastone. Speravo allora che tutti fossero impegnati e che nessuno potesse vendermi il latte: in questo modo avrei appagato la mia curiosità di conoscere i loro riti e i loro gesti indecifrabili. Desideravo conoscere, per esempio, come veniva prodotto e confezionato il buonissimo burro ricavato in panetti di varie dimensioni decorati da rilievi che rappresentavano fiori dei campi.
Macché! Premuroso e sorridente ecco comparire colui che consideravo il primo ministro di quel territorio arcano. Anche se intimamente ero seccata per non poter curiosare oltre, era impossibile prendersela con lui. Ispirava simpatia alla prima occhiata. Aveva due occhietti mobilissimi e lucenti, simili a quelli degli scoiattoli quando avvistano le noci, portava baffi sempre ben curati alla Nazzari che gli davano un'aria birichina. Si esprimeva con brevi battute; qualche volta mi faceva l'occhiolino in modo così simpatico che me lo ricordo ancora. Si chiamava Paolo Bagatella e fin che ha potuto, ha scorrazzato avanti e indietro per le strade del paese con la sua motoretta nocciola.
Non ricordo quando la latteria fu chiusa definitivamente e il caseggiato che la ospitava fu venduto e modificato. Per qualche tempo ci fu un negozio che vendeva formaggi che in qualche modo ce la ricordava, poi più nulla.
Nota. La tradizione delle latterie turnarie si diffuse nell’arco alpino dagli ultimi anni del 1800 all’inizio degli anni settanta; in provincia di Belluno ne sorsero un centinaio. L'istituto della latteria turnaria formalizzava l'usanza antica di mettere insieme il latte di più famiglie; era un modo economico e facile di gestire il latte, adatto alla produzione di burro e formaggio in proporzioni modeste, quando la maggior parte degli allevatori del territorio possedeva solo una o due mucche. Ricalcava lo stesso principio della panificazione.