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  • Donatella Bizzotto

Il dottore che prendeva i treni

___ Certe vite sono come quei libri di cui conosciamo solo il titolo ___

Nel marzo 2021 lessi nella pagina Facebook "Sei di Quero se..." che la tomba di Vittorio Belosersky, amato e stimato medico condotto del paese dal 1920 al secondo dopoguerra, era in deplorevole abbandono. Ci furono diverse reazioni, volte principalmente a ricordare quel bravo medico ed il bene da lui compiuto, le sue origini russe aristocratiche, il suo modo di vivere riservato, dignitoso, umile e sul finire della vita quasi miserevole eppure sempre gentile e disponibile, la sua attività di medico delle ferrovie, la necessità di dare ai suoi resti umani un luogo più onorevole dove riposare.


Leggendo quei ricordi così particolareggiati mi chiesi se mia nonna – che nel periodo della condotta del Dottore partorì sei figli, li crebbe, ne pianse tre morti bambini e uno di vent'anni disperso in Russia, accettò la lunga e straziante malattia di mio nonno, si ammalò di depressione, reagì - non ne fosse stata al corrente oppure se non avesse proprio voluto condividerli con altri, con noi familiari, e perché. La nonna mi aveva sì menzionato più volte l’umanità e la competenza del dottor Belosersky e della signorina Elvira Fritz, la levatrice condotta, e l’infinita gratitudine nei loro confronti, ma si era limitata all’ambito professionale.


Forse sapeva qualcosa, forse aveva intuito, per quella particolare sensibilità delle persone che subiscono drammi personali devastanti e si riconoscono, naufraghi nel mare in tempesta. Resta il fatto che puntualmente, durante le frequentissime visite al cimitero, non mancava di recitare preghiere davanti alla tomba del Dottore – eravamo nei primi anni sessanta e la signorina Fritz era ancora viva - muovendo il capo in quel modo tutto suo quando evocava momenti tristi e difficili. Incuriosita dal quel cognome slavo, la esortavo ancora una volta a raccontarmi qualcosa di lui ma ricevevo sempre la solita concisa risposta, sebbene espressa con intensa e calorosa partecipazione: “Era tanto tanto buono. Ha fatto del bene a tutti.” E poi “Démo démo, disón na requie par lu, puarét.” Punto.

La discussione aperta su Facebook fece riemergere quel desiderio lontano di conoscere di più sul Dottore e, motivata dal suo ricordo sedimentato nella memoria collettiva del paese, mi attivai lanciando una ricerca in rete. Il primo strabiliante risultato fu la scoperta del sito Russi in Italia, un progetto finanziato dal Ministero dell'Università e della Ricerca scientifica con l’intento di fornire una visione complessiva della presenza russa in Italia nella prima metà del Novecento nelle sue relazioni con la cultura e la società italiana, nel quale trovai le prime notizie su Viktor Ivanovič Belozersky, e più ancora di suo padre Ivan Ivanovič Belozersky nonché di parte della loro numerosa famiglia.


Entusiasta, parlai di questa rivelazione con un amico chierese originario di Ponte nelle Alpi, raccontandogli anche dei commenti nella pagina Facebook. Immaginate la mia meraviglia quando mi chiese: "Come hai detto che si chiama? Ripetimi il nome, io mi ricordo un dottore russo ma forse storpiavamo il suo nome senza volerlo... In paese lo chiamavamo capitano medego Bresoleschi." Aggiunse che il Dottore aveva frequentato abitualmente il suo paese. Se lo ricordava benissimo: anziano, con gli occhiali di un metallo che pareva oro, un po’ claudicante, distinto e ben vestito, andava e veniva con il treno.

Ero sorpresa e incredula, le nostre informazioni coincidevano solo in parte eppure sì, stavamo parlando della stessa persona. Due storie stavano emergendo per fondersi insieme.


Imbattendomi man mano in nuovi documenti, è cresciuta la necessità di conoscere meglio i fatti storici e i luoghi in cui si è snodata la vita di Vittorio Belosersky assieme alla consapevolezza di non poter cogliere ogni accadimento nella sua integralità. Nel mio piccolo - non sono una storica - oltre la sequenza di eventi ho cercato brevemente di incrociare la cultura del momento con le inclinazioni dei personaggi, le trasformazioni di modelli di vita sociali, l’influenza delle scelte storiche sulle nazioni incontrate e i loro popoli.

Ho fatto del mio meglio, insomma, per dare la più appropriata rappresentazione della realtà. Spero di esserci riuscita almeno un po’.


Questa che segue è la storia di parti della vita del Dottore, di suo padre e della sua famiglia che ho raccolto da testimonianze incrociate, testi, foto e documenti online e cartacei.

È una storia di partecipazione corale, di interesse per il passato della propria comunità, di gratitudine.

È anche una storia di serendipità, cioè fare scoperte felici per puro caso o trovare qualcosa di imprevisto mentre si sta cercando altro.

Ho suddiviso il tutto in quattro parti:

1. Il padre, la famiglia

2, Il dottor Belosersky

3. La memoria dei testimoni viventi e nei racconti dei nostri antenati

4. La memoria nelle fonti documentate

Infine, i ringraziamenti.

Buona lettura!








1. Il padre, la famiglia

La vita di Ivan Ivanovič Belozerskij italianizzato in Giovanni Belosersky e di conseguenza quella del suo primogenito Vittorio, viene influenzata dalle vicende accadute nel Governatorato della Piccola Russia, poi Governatorato di Černigov (nome storico di alcune terre dell'Ucraina conquistate durante il periodo zarista), dalla rivoluzione del 1905, dalla rivoluzione del 1917 e dalla guerra russo-ucraina nel periodo 1917-1920

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Il nobile e facoltoso Giovanni Belosersky, padre del nostro Dottore, nasce nel 1841 in un piccolo centro dell’Ucraina nord-orientale; discende da un ramo cadetto principesco.



Il punto rosso indica il territorio di Borzna, allora nel Governatorato della Piccola Russia, poi Governatorato di Černigov


Nel 1863, in seguito alla guerra di Crimea e all’insurrezione polacca, l’impero russo introduce politiche di russificazione negando l’esistenza di una lingua ucraina e, nel 1876, proibendo la pubblicazione e l’importazione di libri in ucraino. Ciò determina la formazione di un movimento nazionale ucraino nelle terre della riva sinistra del Dnepr con Kiev al centro.


E’ plausibile che le politiche linguistiche di russificazione orientino l’interesse di Giovanni verso lo studio dei testi nella loro evoluzione storica. Dopo la laurea in filologia e letteratura all’Università di Praga, conosce a Venezia la futura moglie Maria Ballarin che nel 1870 dà alla luce il loro primogenito Vittorio; da allora Giovanni Belosersky alterna il soggiorno nella città lagunare a viaggi in Ucraina per curare i suoi vasti possedimenti terrieri.

Nel 1871 aiuta generosamente l’amico Ferdinando Ongania – diventato in seguito il famoso editore nonché suo consuocero – ad acquistare una casa editrice ed altre importanti proprietà. Restano soci per un anno, poi Belosersky lascia Ongania unico proprietario per dedicarsi ai suoi numerosi affari.

Uomo universale e poliglotta, Giovanni Belosersky intrattiene contatti con l’estero, fa la spola tra l’Ucraina e Venezia. Nel 1883 cessa di risiedere in Ucraina e pur mantenendo la cittadinanza russa prende dimora a Venezia. Da qui si sposta spesso con tutta la famiglia, che di anno in anno si fa più numerosa. A Firenze nascono Pietro e Sergio. Nel periodo fiorentino traduce in italiano le Novelle Ucraine di Nikolaj Gogol.


A cavallo dei due secoli è a Roma. Nel 1889 nasce l’ultimogenito Eugenio, l’anno dopo conosce il critico e poeta Giulio Salvadori con cui ha scambi epistolari su argomenti di carattere principalmente spiritualistico, intellettuale e politico (vagheggia l'idea di una Ucraina indipendente).


Foto di Giovanni Belosersky tratta da  "Giulio Salvadori Lettere 1878-1906 volume I" a cura di Nello Vian. Roma 1976. Edizioni di Storia e Letteratura
Giovanni Belosersky

Sono gli anni in cui lo scrittore e conte Leone Tolstoj, di fede greco-ortodossa, viene scomunicato per le sue idee religiose che auspicano un ritorno della religione cristiana delle origini con un’unica chiesa che la rappresenti, e della conversione dell’ateo Edoardo Gemelli diventato padre Agostino, e dello stesso Giulio Salvadori.



Nel 1895 muore il piccolo Sergio sepolto nel Cimitero Acattolico della capitale. (Nella lapide il nome scolpito è Sergino)


Nel 1904 Giovanni Belosersky è in Russia per curare gli affari, ha 63 anni. Tornato in Italia, scrive a Salvadori una cartolina: sta ritemprando la salute “nel clima balsamico della regione subalpina bellunese”.


1905. Nelle campagne russe dell'Ucraina (tra cui la provincia dove si trova Bordza, il paese natale di Giovanni), della Russia centrale e della zona del Volga, è in atto da parte dei braccianti esasperati ed affamati un'ondata di ribellioni e saccheggi delle grandi proprietà signorili. In breve tempo sono distrutte oltre duemila tenute. Nel febbraio del 1906 la promessa legge che prevedeva la vendita coercitiva di terre signorili ai contadini non viene più presa in considerazione dallo zar.


Nel frattempo con la famiglia si stabilisce nella Riviera Ligure, meta preferita di viaggiatori, intellettuali e aristocratici russi a cui si aggiungeranno in seguito numerosi russi esuli politici e malati di tisi, tutti alla ricerca di bellezza, salute, salvezza. Giovanni Belosersky continua ad andare in Ucraina per curare affari e proprietà presumibilmente accompagnato da uno dei figli. Nel 1909 risiede nuovamente a Venezia, in Riva San Biasio.


Si può immaginare la vita agiata e densa di relazioni sociali dei Belosersky, la cultura linguistica, generale e internazionale del capofamiglia, gli spostamenti nelle varie città utili a incrementare le relazioni commerciali, le belle abitazioni nei quartieri più signorili, le villeggiature, le buone compagnie, i viaggi.

Eppure, nonostante gli interessi del mondo, c’è nel sensibile Giovanni Belosersky la necessità di confrontarsi con persone di profonda esperienza spirituale sulla filosofia morale e le scelte di fede (è di religione greco-ortodossa, le figlie diventeranno cattoliche), propensione che si manifesterà anche nel figlio Vittorio nell’ultima parte della sua vita con il parroco di Quero don Angelo Maddalón.

2. Il dottor Belosersky

Viktor Ivanovič Belozerskij, italianizzato in Vittorio Belosersky, nasce a Venezia il 21 settembre 1870. Appartenente ad una famiglia facoltosa di antica nobiltà – i Belosersky discendono da un ramo cadetto principesco – e di religione greco-ortodossa, fino al 1883 segue gli spostamenti della famiglia tra la città lagunare e l’Ucraina dove il padre Giovanni cura gli affari legati ai suoi vasti possedimenti terrieri nell’allora Governatorato di Černigov della Russia Imperiale.

Si laurea in medicina e chirurgia in Italia.


A cavallo del secolo – siamo in piena Belle Epoque - è con la famiglia a Roma. Nella capitale la comunità russa è numerosa, agiata e culturalmente vivace, composta da diplomatici, antica nobiltà, artisti ed espatriati per motivi personali e politici. Non sappiamo come si muova il nostro giovane medico all’interno di questa realtà; si può supporre che la sua formazione accademica, la ricchezza di relazioni d’affari in vari ambiti intessute dal padre e i suoi dialoghi religiosi, intellettuali e politici a vari livelli, favoriscano in Vittorio una cultura cosmopolita e spiritualmente sensibile.

Nel 1904 una cartolina ci dice che frequenta la zona prealpina della provincia di Belluno. Nel 1908 è a Villabruna di Feltre, dove esercita la professione di medico chirurgo per due anni, registrato come Vittorio Belosersky. Si sposa con una giovane maestra bellunese, Carmela Zandomenego, e l’anno dopo a Padova nasce la loro bambina Julia, chiamata Juli. Successivamente esercita a Feltre e nel 1913 viene pubblicato un suo studio sulla difterite.

Nel 1915, prima dello scoppio del conflitto mondiale, Vittorio risulta risiedere con la sua famiglia a Venezia nel palazzo di Riva San Biasio dove dal 1909 vivono i genitori con altri familiari, ma nell’aprile del 1916 viene chiamato in guerra come capitano medico chirurgo* nelle province di Belluno e di Genova.


(*) Il capitano medico chirurgo – una specie di primario ospedaliero - dirigeva la Sezione di Sanità, l’unità operativa di base della Sanità Militare al fronte ed operante a livello di reggimento di fanteria, che a sua volta si divideva in due Reparti di Sanità aggregati ognuno al Comando di battaglione e comandati da un tenente medico chirurgo. La Sezione di Sanità aveva tra gli altri l’importante compito di collegamento tra i posti di medicazione dei Corpi in prima linea e gli stabilimenti sanitari in retrovia.


A Genova porta con sé moglie e figlia; risiedono nella località di Nervi presso il fratello Nicola, professore di botanica nella vicina università. Ma cosa ci fa un capitano medico nel capoluogo ligure, lontanissimo dalle trincee? C'è un motivo: a Genova arrivano numerosi convogli di ritorno dal fronte; portano centinaia di feriti e mutilati accolti e curati in alcune scuole trasformate in ospedali militari: sono feriti, amputati, in pessime condizioni igieniche, denutriti, con gravi disturbi post traumatici da stress.


1917 - L’Italia si accorge appena che in Russia scoppia la rivoluzione - ha da pensare alla disfatta di Caporetto - né tantomeno che sta avvenendo il primo tentativo della storia ucraina di costruire uno Stato indipendente. Le forze nazionaliste ucraine e quelle filobolscevichi si scontrano per il controllo del territorio ma nella stessa guerra ci sono combattimenti tra diverse entità che si succedono alla guida del movimento d'indipendenza: il Consiglio Centrale Ucraino (Central'na Ukrajins’ca Rada) promosso dai progressisti ucraini, l’Etmanato di tutta l’Ucraina sostenuto dai proprietari terrieri, il Direttorio formato da alcuni patrioti della Rada, il movimento bolscevico e le truppe ucraine bolsceviche unitesi all'Armata Rossa... Ma non è tutto: tra le diverse guerre e una serie di epidemie e carestie, l’Ucraina sprofonda nella miseria.


Giovanni Belosersky, che nel frattempo è accorso in patria con il figlio Pietro forse per sostenere i proprietari terrieri e recuperare i suoi possedimenti o, forse, per sostenere il movimento dei progressisti, è costretto ad una totale e prolungata mancanza di alimenti. Muoiono entrambi di inedia, è il 1920, come tanti altri ucraini.


La guerra russo-ucraina termina con la sconfitta degli indipendentisti ucraini, l'incorporazione dell'Ucraina occidentale alla Polonia, e la costituzione della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina nell'Unione Sovietica.


Ma non bastano le guerre, le rivoluzioni, le carestie. Tra il 1918 e il 1920, infuria in tutto il mondo la “spagnola” mietendo più vittime della prima guerra mondiale e si immagina che anche il nostro Dottore abbia il suo gran daffare per curare i contagiati.

Poi risulta essere in un periodo imprecisato lontano dall’Italia; si può supporre che abbia cercato di raggiungere il padre e il fratello in Ucraina, e che non abbia potuto far altro che seppellirli.


Ad ogni modo, nel luglio 1920 la Direzione generale di Pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno autorizza il suo reingresso nel Regno d’Italia come suddito russo e viene accolta la sua domanda di dimorare in Stra presso la sorella Zinaida Belozerskaja sposata con Federico Venturini.

Nel novembre del 1920 il dottor Vittorio Belosersky, la moglie e la figlia all’epoca scolara, arrivano a Quero e risiedono in via Cimitero 3, attuale via Giovanni XXIII; dai documenti e dalle cartoline l’abitazione corrisponde al Villino Belvedere. Il Dottore ricopre la carica di medico condotto vinta tramite concorso pubblico.


In Italia, il medico condotto era un dipendente del Comune che prestava assistenza sanitaria gratuita ai poveri e, dietro pagamento dei compensi stabiliti secondo un tariffario, agli altri cittadini. La sua figura fu istituzionalizzata con l’Unità d’Italia nel 1861


In un periodo imprecisato dopo il 1920, la moglie è con la figlia nella casa dei suoi genitori a Ponte nelle Alpi; mantengono entrambe la residenza a Quero. Qui una foto ferma un momento sereno.

Il Dottore le raggiunge regolarmente in treno, è conosciuto e stimato dalla popolazione che lo chiama “capitano medego Bresoleschi”. Nel 1924 la sorella Zinaida gli scrive a Quero da Mel durante un soggiorno di vacanza.

L'Annuario generale d'Italia Guida generale del Regno Anno 1935 riporta il suo nome e la sua professione nella sezione dedicata a Quero.


Nel 1936 la figlia muore in seguito ad un intervento chirurgico. Questa tragedia segnerà per sempre il Dottore e sua moglie.

Carmela Zandomenego resta a Ponte nelle Alpi. Vittorio Belosersky si recherà costantemente da lei raggiungendola in treno. Su questi spostamenti il Dottore manterrà inspiegabilmente un riserbo che darà adito all’equivoco mai chiarito di ritenerlo medico delle ferrovie.


Vittorio muore a Quero nel 1949 dopo un periodo di malattia all’ospedale di Pederobba, assistito dalla moglie e da una sorella. Nel bollettino parrocchiale Eco del Piave, don Angelo Maddalón scrive:


“Imponente è riuscito il funerale dell’Egregio signor medico dott. Beloserschy, nativo russo e vissuto quasi sempre qui in Italia. Quero lo ha avuto medico condotto per molti anni e ultimamente libero professionista. Un uomo di poche parole, ma competentissimo nell’arte sua.

Stimato ed amato dalla popolazione, negli ultimi suoi giorni di vita ebbe il conforto di venire visitato e consolato dalle numerose e cordiali espressioni di riconoscenza e affetto. Fu ricoverato ultimamente all’Ospedale di Pederobba, dove era conosciutissimo e dove ebbe tutte le cure, sempre amorosamente assistito dalla sorella* e dalla consorte.

Durante la sua vita ebbe fortissime crisi di coscienza ma la sua grande carità gli meritò di contemplare e gustare la luce della verità, sotto la quale placidamente si addormentò per sempre. Esempio e monito per chi ancora vuol tener chiusi gli occhi dinanzi agli splendori della fede.”


(*) Presumibilmente si tratta della sorella Elena, vedova del pittore Umberto Ongania figlio dell'editore Ferdinando, morta centenaria a Venezia nel 1983


Alla sua morte la moglie continua a vivere a Ponte nelle Alpi fino al 1956 lasciando i pochi averi in beneficenza, fino a quando - come succedeva in quei tempi a chi, pur sano di mente, era solo e indigente - sarà ricoverata nell’ospedale di Pullir. Prima, fa ancora in tempo a donare una scatola piena di cartoline a Giancarlo, un bambino suo vicino appassionato di francobolli.

Di Carmela Zandomenego vedova Belosersky non si saprà più nulla fino alla sua morte nel 1977, un anno prima della promulgazione della legge Basaglia.




“C’è la storia, poi c’è la vera storia, poi c’è la storia di come è stata raccontata la storia.

Poi c’è quello che lasci fuori dalla storia. Anche questo fa parte della storia.”

Margaret Atwood, scrittrice canadese






3. La memoria dei testimoni viventi e nei racconti degli antenati

Tratto da Facebook, Sei di Quero se

Discussione aperta da Marcello Meneghin, in seguito MM:


MM “[…] Il dott. Beloserschi era un nobile russo fuggito per salvarsi la vita e venuto, per caso a rifugiarsi a Quero dove ha esercitato per molti anni ed in maniera ammirevole la sua professione di medico. Del tutto gratuitamente ed amorevolmente ha aiutato i queresi poveri in canna senza pretendere nulla, al massimo un piatto di minestra che mangiava a tavola con noi perché egli non aveva una lira i tasca. Non si può pensare che una persona che ha fatto tanto bene ai queresi di quegli anni di povertà, si trovi in quello stato e nessuno, nè autorità nè comuni cittadini non abbiano ancora provveduto a raccogliere quel marmo in pezzi ed ordinare una nuova piccola lapide per ricoprire quel buco nero che si vede in alto. Io lo ricordo bene tutte le mille volte che è venuto a casa mia. Una volta, io avevo forse quattro anni ma ricordo tutto benissimo, mi ero tagliato una guancia dal lato interno ed avevo il sangue che correva in bocca, Il dott. Beloserschi, subito intervenuto, ha detto che bisognava cucire all'interno della mia bocca ma che la sua mano tremava troppo e non riusciva. Allora ha consegnato a mia mamma ago e filo e le ha insegnato a lei come fare a cucire la bocca del suo bambino. Così è stato fatto.”


RP “Anche mia mamma lo ricorda come un bravo medico”


GT “Mia madre ne parlava sempre.”


MM “[…] a far partire la questione non é stata sicuramente una persona di 88 anni prigioniera nella sua casa di Mestre come sono io. Chi l'ha ha provocata è stata una Signora rumena ma che, secondo me, è tanto innamorata di Quero da non riuscire a tollerare lo scempio della tomba di una persona come lo straordinario dott. Beloserschi.”



Germano Susanetto, in seguito GS “Persona straordinaria è dir poco Marcello!! mio Papà me lo rammentava spesso di quanto bene faceva per la gente in cambio di un piatto di minestra e una fetta di polenta, e tante volte si recava all'Ospedale di Pederobba per consulenze visto la sua grande professionalità di Medico.”


MM " […] In tutto quello che facciamo c'è qualcosa che supera la bravura ed è il cuore, la generosità il fare il proprio lavoro con passione. Ebbene egli aveva un cuore grande. Quando egli è deceduto io avevo 17 anni e quindi lo ricordo bene come si ricordano con precisione tutte le cose grandi: era un grande con un cuore grande”


GF "Mia mamma diceva che era veramente eccezionale e che aveva salvato tantissime persone, spesso gratis"


I R "[…] Un nobile venuto a rifugiarsi a Quero. Si può saperne qualcosa di più? Manteneva accento russo?"


MM “Parlava, sempre sottovoce come usavano i nobili come era lui, un italiano perfetto ma scolastico. Io ero piccolo e potrei sbagliarmi, ma non aveva accenti strani. Era sempre all'insegna della gentilezza



A questo punto ho condiviso il link di russinitalia.it che riporta notizie di Viktor Ivanovič Belozerskij, medico.



MM “Donatella. Hai trovato quello che, forse, sono elementi provati in contrasto con quello che appariva a Quero. Le date coincidono il che conferma. Però è assai strano che un medico laureato in Italia, che ha lavorato molto in importanti città italiane, vada a finire in un paesino ai minimi termini come era allora Quero e poi vi rimanga fino alla morte conducendo una vita da vero eremita senza un soldo in tasca. L'unica dimostrazione potrebbe essere una passione di isolamento da tutta la società civile dettato dalla sua nobile origine nel qual caso egli avrebbe trovato la sede ideale a Quero dove potrebbe aver continuato nella sua mania di isolamento nel non confidare a nessuno di avere qualche parente anzi nel far capire che era assolutamente solo. A tutto questo si può aggiungere la passione della gente di inventare tutto quello che risulta totalmente incognito"


GS "Talvolta tanti personaggi di cultura o alto locati!! si isolano diventando addirittura dei barboni vivendo per strada, il più delle volte per motivi Famigliari o forti dispiaceri causati dalla società."


MM "Io continuo ad adorare il personaggio che ho conosciuto da ragazzo così come adoro tutto quello che si credeva allora e che era di una dolcezza superba. Io da allora ho avuto ed ho tuttora medici di tutt'altra simpatia e competente generosità nonché capacità medica."


AS "Ho conosciuto la professionalità unita ad una grande umanità del Dr. Beloserschi , attraverso le parole dei miei genitori. […]"


EC "Anch’io lo ho conosciuto perché è stato un grande dottore mi ha curato per un incidente avuto da bambina lo ricordo sempre le dico ancora grazie 🌹"


MM "Ho tentato di avere notizie parlando con M.C. che non solo ha un'età da aver potuto conoscere il dott. Beloseschi ma è anche la figlia del farmacista di Quero dove il dott. andava spesso a rifornirsi di medicine e qualcosa ha detto al farmacista stesso, confermando che era un nobile russo scappato durante la rivoluzione russa ed essendo capitato a Quero da solo non aveva posto dove dormire. Ebbene sapete cosa faceva alla sera per procurarsi un letto al caldo? Una cosa incredibile! Andava alla stazione e prendeva un treno qualsiasi e le prime notti di Quero le ha tutte passate in treno. Il farmacista papà di M., capita la situazione, gli ha messo a disposizione la casa vecchia e disabitata farmacia che si trova a destra in fondo a Via Garibaldi e quindi egli ha abitato là per molti anni . M. mi assicura che è andata più volte a portargli in quella casa la minestra calda da mangiare"


MM "Ho avuto notizie provenienti dalla Sig.ra C. (la moglie di P. del Municipio) che ha quasi 100 anni ma è lucidissima. Conferma le alte qualità del medico ed anche a lei risulta essere fuggito nel periodo della rivoluzione russa e da lì capitato per caso a Quero."



Altre testimonianze

  • Da UNA FAMIGLIA VENETA NEL PRIMO NOVECENTO, racconto di Angela Favero a cura di Bona Beda Pazè.

"[...] A casa nostra c’era spesso il dottor Beloseski. Era venuto via dalla Russia dopo la rivoluzione e ci raccontava della sua famiglia, di proprietà così grandi che avevano un loro treno per girarle tutte. In Russia non aveva mai esercitato, qui ha cominciato a fare il dottore dopo la guerra. A Quero stava in una casa fredda, veniva da noi e andava dentro al forno e metteva le mani sotto l’acqua calda per scaldarsele. Mi portava pantaloni da stirare. Mia mamma spesso gli dava da mangiare. C’erano sempre discussioni fra loro perché mia mamma si toccava il polso e diceva: “Dottore…” e lui: “Ma se non ha bisogno di medicine!” e lei si arrabbiava. Parlava sempre con la Bona di padre Gemelli e di Armida Barelli. Beloseski conosceva bene padre Gemelli e la Bona faceva tanto per l’Università cattolica. Era capace di andare, lei e un’altra, a raccogliere soldi per le osterie, d’inverno quando sono piene di uomini, facendo la lotteria con un coniglio in una scatola. Era piena di coraggio. E poi discussioni con Beloseski che era ortodosso. Facevano delle discussioni!

Il dottor Beloseski ci voleva bene. Quando mi sono operata di appendicite è venuto lui a darmi l’anestesia, quando è mancata la Bona è venuto lui. Non andava mai in chiesa ma è venuto al funerale. Era anche dottore delle ferrovie. Quando faceva tanto freddo, lui saliva in treno alla sera e andava a Roma, viaggiava tutta la notte al caldo in vagone letto, poi tornava a Quero. [...]"

  • Nel paese del mio amico Mario ci sono ancora persone anziane che ricordano di essere state visitate e curate dal Dottore. Un anziano dice che il dottor Belosersky gli salvò la vita, sua madre glielo ricordava sempre.

  • L'intervento dell'assessore comunale Alberto Coppe conclude positivamente la segnalazione iniziale di Marcello Meneghin: “Completato il restauro del loculo del medico russo. Il comune si è fatto carico del problema segnalato.”




4. La memoria nelle fonti documentate (siti web, documenti ufficiali, testi cartacei, cartoline)


  • "Una famiglia veneta nel primo Novecento" di Angela Favero a cura di Bona Beda Pazè, pubblicato nel quindicinale di attualità il Tornado dei comuni di Alano di Piave, Quero Vas, Segusino

  • Giulio Salvadori "Lettere 1878 - 1906" volume I, a cura di Nello Vian. Roma 1976, Edizioni di Storia e Letteratura

  • Archivi d'anagrafe del Comune di Quero Vas

  • Stato di famiglia originale di Vittorio Belosersky al suo arrivo a Quero come medico condotto





Ringraziamenti


Un grazie di cuore a (in ordine di arrivo):


  • Marcello Meneghin per la segnalazione della tomba malandata e l'esortazione a ridarle dignità, per la foto del Dottore, i ricordi e l'entusiasmo;

  • Germano Susanetto e i Queresi che hanno condiviso i ricordi di famiglia sul Dottore;

  • Mario Collazuol, amico della nostra famiglia e vicino di casa dei Belosersky a Ponte nelle Alpi; senza il nostro piacere di comunicare i Queresi non avrebbero mai conosciuto parti importanti della vita del loro Dottore;

  • Giancarlo Collarin, il bambino di un tempo che, grazie al suo interesse per i francobolli, ricevette in dono la scatola di cartoline dalla signora Belosersky sua vicina di casa a Ponte nelle Alpi;

  • Alberto Coppe, assessore comunale di Quero Vas, per l'interesse alla storia e al ripristino decoroso della tomba del Dottore curato dal Comune di Quero Vas

  • mia sorella Ivana Bizzotto per la ricerca storica negli archivi dell'Anagrafe di Quero, Comune di Quero Vas

  • Mauro Mazzocco per aver condiviso l'elogio funebre al Dottore pubblicato sull'Eco del Piave.




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