La casa in via Madonnina
Ce la trovò Ami che era a Trieste già da un anno. La zona era centrale, comodissima. L'appartamento, in uno stabile d’epoca con un elegante vano scale, era di dimensioni contenute per noi che eravamo in cinque (Bruna, Luisella, Tiziana, Marusca ed io), ma in quel periodo dell’anno era già stata una fortuna trovarlo, per di più dotato di lavatrice e telefono, e a quel prezzo. L’interno era un po’ tetro e squallido e cozzava con l’opulenza ambigua e dannunziana dell’enorme camera da letto piena di stucchi, specchi e tappezzerie rosso carminio, così ampia da superare in superficie tutto il resto dell'appartamento, ma eravamo così entusiaste di tutto che subito non ci facemmo caso, prese com’eravamo tra ospedale, lezioni e scoperta della città e della nuova vita. Quanto al riscaldamento, era promesso da una stufa a gas montata su un carrello assieme a una mastodontica bombola.
Solo promesso, però, l’apparenza ingannava. Infatti, quando arrivò la bora e dalle finestre entrarono spifferi gelidi, ci accorgemmo sgomente che la stufa non bastava a riscaldare l’ambiente e fummo costrette a vivere in casa con il cappotto.
In una di quelle sere fredde e ventose stavamo festeggiando il compleanno di Luisella con alcuni ragazzi nostri amici. Tutti insieme e tutti intabarrati si cantava Tanti auguri a te quando sentimmo suonare alla porta. Erano passate le undici da un quarto d’ora e non mancava più nessuno tra gli invitati. Chi suonava? Andammo ad aprire e con meraviglia ci trovammo davanti due agenti di polizia più o meno della nostra età; li aveva chiamati qualcuno dello stabile, ci dissero. Ma era la prima volta che avevamo ospiti in casa e stavamo sempre attente a rispettare gli orari di buon vicinato, non capivamo il motivo di questa immediata insofferenza. Anche i poliziotti ci guardarono con stupore e uno esclamò: ‘Non solo siete tutti vestiti ma avete pure il cappotto!’
‘Certo!’, rispondemmo all’unisono. 'Provi lei a vivere in questo alloggio con tutti questi spifferi! Cosa pensavate che stessimo facendo?' - E offrimmo loro quel che restava della torta e una tazza di cioccolata calda. Rifiutarono gentilmente poi ci chiesero cosa facevamo a Trieste e domandarono ai nostri amici dove abitavano, ma non vollero vedere i documenti che eravamo tutti pronti a mostrare. Evidentemente sembravamo quello che eravamo: dei bravi ragazzi.
Concordammo di trovarci tutti insieme una sera, noi e loro, in birreria. Salutandoci, ci esortarono a non aprire a nessuno che non fosse nostro amico, neanche a quelli dell’Enel o della Sip.
I giorni successivi ragionammo un po’ su questa raccomandazione perché, in effetti, c’era già stato qualche uomo che suonava al nostro campanello presentandosi come controllore di questa o quell’altra erogazione, ma era senza segno di riconoscimento e perciò non gli avevamo aperto. Poi ce ne dimenticammo, prese com’eravamo dalla nuova vita, dai cambiamenti che man mano stavano emergendo in noi e dalla volontà di vivere insieme cercando di comprenderci e aiutarci. Così, pur essendo molto diverse l’una dall’altra, andavamo d’accordo.
Ma tu, Marusca, eri la più tollerante e in tante occasioni hai avuto la pazienza di Giobbe. E poi eri l’unica a saper mettere i bigodini alla perfezione, mica come me.
Grazie a te approfondimmo l’arte dell’ospitalità Stefanato® e sperimentammo tante ricette originali, la prima delle quali fu 'spaghetti alla carbonara' con i canonici guanciale e pecorino romano. Ti vedo ancora mentre li mescoli con l’uovo nella scodella. :-)
Parlavamo di tutto. Erano gli anni dopo il boom segnati da profondi mutamenti politici, sociali e culturali, ciascuno con proprie luci e ombre. Noi ci confrontavamo in appassionate discussioni sulle grandi domande dell’uomo coinvolgendo anche i nostri amici, sempre cercando.
Giunse dicembre e conoscemmo gli effetti della bora scura con la neve e il gelo; camminando sul lastricato ghiacciato lungo la nostra ripida via, sospinte indietro dai refoli di bora, faticavamo ad avanzare malgrado il passamano e rischiavamo spettacolari scivoloni. Marusca aveva saputo da un amico dei suoi genitori che per non cadere i vecchi Triestini indossavano i giazzini, cioè dei ramponi da ghiaccio, ma chi se li sarebbe messi? Noi no di sicuro e così per arrivare al Burlo dovevamo fare un giro più largo, allungando notevolmente la strada.
Ma anche vivere in quell’appartamento cominciava ad essere veramente problematico e non solo per il freddo. Avevamo bisogno di due camere da letto per riposare bene senza disturbarci dato che svolgevamo il tirocinio anche di notte, di spazio dove poter studiare, e vivere. Poi c'era il problema del bucato: l'unico posto all’aperto dove stenderlo era la tromba dell’aerazione che iniziava al nostro piano, ma nelle giornate umide i panni assorbivano uno sgradevole odore di freschino; allora stendavamo in casa e la faccenda, moltiplicata per cinque, diventava infinita. La biancheria non si asciugava mai. Malgrado ciò, l’allegria e l’entusiasmo persistevano.
Un giorno decidemmo di fare le pulizie di fino in occasione delle feste di fine anno. Stavo spolverando sopra l’armadio quando toccai qualcosa di duro, piatto e relativamente sottile, ampio quanto l’area coperta dal mobile, confezionato con un involucro di carta da pacchi. Chiamai le ragazze e mi feci aiutare a tirarlo giù, pesava un po’. Con circospezione sollevammo un lembo libero di carta e sbirciammo dentro il pacco: era un quadro.
'Bene’, esclamò Bruna. ‘Potremmo appenderlo in corridoio, è così spoglio!’
Ma non appena vedemmo il soggetto capimmo che non potevamo certo metterlo lì: era un nudo femminile velleitariamente iperrealista che esibiva senza tabù il suo erotismo. Dietro la testiera del grande letto matrimoniale ne trovammo uno simile, un terzo era dietro il comò. Eravamo sbalordite. Poco a poco mettemmo a fuoco tutti gli elementi: l’arredamento dannunziano e ambiguo della camera, le telefonate di signorine che cercavano il dottore, l'aria arcigna e sospettosa dei vecchi condomini… La faccio breve: eravamo finite in un pied-à-terre usato da un vecchio gaudente per le sue avventure piccanti durante l’ultima delle quali era passato a miglior vita. La figlia aveva fatto pulire alla bell’e meglio l'alloggetto senza mai entrarci e l’aveva subito affittato a noi.
Dopo Natale eravamo già nell’appartamento nuovo in via del Ponticello, ma quella è un'altra storia.