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  • Donatella Bizzotto

Camminando sull'ingresso

Nel 1973 la scuola convitto delle suore dorotee a Treviso era formata da due edifici principali: la villa, una pregevole struttura nobiliare di fine ottocento che con il convitto aveva ritrovato rinnovate funzioni, e una palazzina ampliata negli anni sessanta per accogliere, al piano terra, un’aula con ampie vetrate che si affacciava sul cortile e sul giardino, alcuni piccoli spazi per studiare e una piccola biblioteca, e al primo piano altre camere per le convittrici. I due edifici erano collegati da un ampio ingresso comune, coperto, costruito probabilmente ad uso della scuola convitto. Addossato ad una parete c’era un tavolino sul quale era posato il registro delle entrate e delle uscite, sui cui si annotava l’ora in cui si usciva dal convitto e l’ora in cui era previsto il rientro (entro le 19 al massimo), ed era bene rientrare prima per evitare reprimende.


La mia camera era al primo piano della villa; aveva due enormi finestre che si affacciavano sul vasto cortile, la romantica peschiera e il bellissimo parco all’inglese. Sarebbe stata il paradiso se proprio davanti alla sua porta non ci fossero state la stanza della vicedirettrice Suor Prima e della temibile direttrice Suor Angiolina dall’orecchio finissimo e lo sguardo che mi faceva sentire in colpa anche se non avevo fatto niente. Per dire: se io e le mie due compagne dopo le 21 chiacchieravamo o ci scappava qualche risatina, garantito che la nostra porta si socchiudeva e un indice ghermiva rapidamente l’interruttore e spegneva la luce. Uff, sul più bello. Allora aspettavamo dieci minuti soffocando risatine e imitazioni e poi riprendevamo, o andavamo in visita a passi felpati da compagne di altre camere. L’indomani a colazione ci sentivamo le nostre ma il cibo era così buono che mangiavamo di gusto e digerivamo facilmente anche quelle. Non che Suor Prima non ci sentisse, ma lei lasciava correre.


La camera delle mie amiche Barbara, Sonia e Lina era al secondo piano e si affacciava su via sant’Ambrogio. Ci salivo ogni volta che potevo: lì ridevamo senza preoccuparci di nessuno, ci toglievamo le sopracciglia a vicenda, sperimentavamo trucchi, toccavano tutti gli argomenti del mondo e ripassavamo le lezioni.


Più o meno alla fine del secondo trimestre del primo anno e senza nessuna motivazione, Barbara venne spostata nella palazzina. Chiesi di essere spostata anch’io ma ricevetti un netto rifiuto; allora chiesi se potevo, almeno, andarla a trovare.

Assolutamente no.


Bene, dite a un adolescente che non può fare una cosa e la farà. Promisi a Barbara che quel pomeriggio sarei passata dalla villa alla palazzina senza farmi vedere. Uscii dalla finestra del primo piano che si affacciava sul tetto dell'ingresso ed iniziai ad attraversarlo per raggiungere la finestra dall’altra parte dove Barbara mi stava già aspettando. Era un tetto senza tegole, quasi piatto, ricoperto da lastre ondulate che mi parevano di solido cemento. Senonché, a metà passeggiata e senza nessuno scricchiolio di avvertimento, mi sentii mancare il terreno sotto i piedi e sprofondai rimanendo a cavalcioni su un sottile travetto con le gambe a penzoloni. Che vergogna. Sperai che sotto non passasse nessun ragazzo e mi vedesse così.


Con circospezione estrassi le gambe e raggiunsi Barbara come se camminassi sulle uova. Anche questa mi era toccata, come se non fosse bastata la disavventura del ginocchio blu. Dovetti andare dalla vicedirettrice e confessare, con la mia amica accanto per sostenermi. Suor Prima, severa, non disse nulla e mi mandò dal geometra Gazzola, un omone dal viso pieno di cicatrici che mi incuteva timore. Il geometra mi chiese il perché ed il percome e per salvarmi non mi restò che raccontargli tutta la storia. Alla fine sentenziò perentorio: “Manderemo il conto ai suoi genitori. Vada.” Uscimmo con la coda fra le gambe. Ero così affranta, e Barbara con me, che non capimmo che la risata scoppiata fragorosa era del geometra. E meno male che la direttrice era andata a fare gli esercizi spirituali, sennò cos’altro mi sarebbe successo?


Epilogo.

Nel giro di pochi giorni il tetto dell'ingresso fu riaggiustato. Nessuno mi rimproverò e il conto ai miei genitori non arrivò mai. 😀

In seguito andai a trovare Barbara nella sua nuova camera passando per le vie "normali" ma non ci fu più possibile condividere le chiacchiere dopo le 21. Tuttavia non riuscirono a dividerci e restammo amiche per sempre.



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