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  • Donatella Bizzotto

Prove di cucina


Avventure del periodo triestino.


La casa di via Madonnina aveva una cucina piccola e mal arredata, con mobili ed elettrodomestici così antiquati che sembravano provenire da una cantina. Il forno non funzionava e quindi all’inizio ci si limitava a cucinare uova, bistecche e pasta in bianco. Imparammo da te, Marusca, a fare il salame di cioccolato e il Tiramisù. Poi, sempre grazie a te, provammo tante ricette originali di condimenti per la pasta, il primo dei quali fu per gli 'spaghetti alla carbonara' che volesti preparare con i canonici guanciale e pecorino romano. Ti vedo ancora mentre li mescoli con l’uovo nella scodella.


Man mano che passavano i giorni, iniziavamo a renderci conto che l'appartamento non andava bene per noi: troppo piccolo, troppo vecchio, troppi spifferi. Per contro, era in una zona centralissima e l'affitto passabile. Rimandavamo ogni decisione. Ma verso la fine di novembre, scoprimmo allibite che quella casa era il pied-à-terre usato da un vecchio gaudente per le sue avventure piccanti durante l’ultima delle quali era passato a miglior vita. Lo capimmo da incredibili scoperte in camera sotto il letto matrimoniale e sopra un armadio durante un giorno di pulizia, collegando strane telefonate ricevute e i comportamenti dei vicini. La figlia, ignara anche lei fino alla morte del padre, aveva fatto pulire alla bell’e meglio l’appartamentino senza mai entrarci e l’aveva subito affittato a noi.


Ce ne andammo il prima possibile e dopo Natale eravamo già nell’appartamento nuovo in via del Ponticello. arredato in occasione di un recente matrimonio finito dopo pochi mesi. La cucina era semplice ed essenziale con elettrodomestici moderni e funzionanti, forno compreso. Fu lì che nel tempo libero dagli studi ti lanciasti a sperimentare nuove ricette dell’alta cucina, ti mancava solo il cappello bianco da chef. Ti rivedo, con un libro di ricette in mano, mentre leggi e dai indicazioni a noi, che a turno ti facevamo da assistenti, riservando a te stessa i passaggi più difficili. "Sarò un'ostetrica con l'hobby della cucina", dichiaravi ispirata. "Oppure una cuoca con l'hobby dell'ostetricia", ribatteva Tiziana ridendo. Ma tutte noi sapevamo che avresti fatto benissimo entrambe le parti.






Durante un giorno di vacanza decidesti di cimentarti nella ricetta impegnativa dei krapfen ripieni. Ti alzasti presto per preparare l’impasto misurando ad occhio perché non avevamo la bilancia per pesare gli ingredienti, lo lasciasti riposare due ore e poi lo riponesti nel frigo per altre sei. Finito quel tempo, iniziammo a dividerlo in porzioni che avrebbero dovuto avvicinarsi a 70 grammi ciascuna. Pensavi che avremmo dovuto ottenere una trentina di porzioni, invece sembravano moltiplicarsi come i pani e i pesci, non sapevamo più dove adagiarle per farle lievitare altre quattro ore. Nel frattempo avevi preparato la crema pasticcera. La assaggiasti, sembravi soddisfatta. Poi ti rivolgesti a me: “Sagia, assaggia. Com’è?” Era deliziosa.


A metà pomeriggio iniziasti a friggere i krapfen, 3-4 per volta, nell’olio bollente. C’eravamo tutte e ciascuna aveva un compito: chi li disponeva sulla carta assorbente e li forava ancora caldi, chi li farciva con la crema o con la marmellata, chi li spruzzava con lo zucchero a velo. Erano venuti più piccoli dei soliti krapfen, ne contammo più di cento. Tra un sagia e l’altro, ne mangiammo tutte una scorpacciata, così dolci e ancora tiepidi, buonissimi. Ripulimmo la cucina e andammo a letto.


Il giorno dopo ci svegliammo rintontite con mal di testa, sudori freddi, brividi e senza appetito. Ci riunimmo in uno dei nostri conciliaboli e concordammo che non erano i sintomi di una banale indigestione perché non avevamo nausea; decidemmo allora di andare tutte e cinque dal medico che ci fece entrare insieme e ci tastò l’addome mentre si faceva spiegare cosa avevamo mangiato il giorno prima. Tu Marusca ti sentisti in dovere di riferire tutti gli ingredienti dei krapfen, in veneto, naturalmente, aggiungendo particolari ed espressioni colorite. Il medico, dell’età dei nostri genitori, ti ascoltava divertito, anche lui ti trovava simpatica come tutti. Ti chiese quanti krapfen avevi mangiato: 23. Poi lo chiese a me: 17; poi a Bruna, poi a Luisella, poi a Tiziana…


Solo mentre pronunciavamo quei numeri realizzammo di aver esagerato e che la nostra era solo una banale indigestione; il dottore se ne accorse dalle nostre facce sconcertate, poi sollevate, poi imbarazzate per averlo disturbato per così poco. Scoppiò a ridere, con una risata fragorosa e incontenibile, non la smetteva più. Piano piano cominciammo a ridere anche noi richiamando l’attenzione della segretaria, allarmata da tutto quel chiasso allegro e inusuale in un ambulatorio medico. Era passata un’ora.


Uscendo ci rendemmo conto che stavamo molto meglio. La sala d’attesa era affollata di pensionati che attendevano il loro turno e ci fissavano inferociti. Ce ne andammo alla svelta festeggiando in cuor nostro la ritrovata salute.



Io e Maru nel 2012 a casa sua


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