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Donatella Bizzotto

Nani Gobbato


Non era il suo vero cognome ma ormai tutti lo chiamavano così, come se avessero voluto assegnargli un marchio di qualità ereditato dalla Sartoria Gobbato in cui aveva imparato il mestiere.

A suo modo era un prototipo del curatore d'immagine odierno. I suoi clienti erano gli uomini del paese che si rivolgevano a lui quando dovevano rassettare o rinnovare il loro aspetto. A loro mi ero aggiunta anch'io, e più tardi mia sorella, per tutto il tempo che avevamo frequentato le elementari.

Era un bell'uomo, alto e solido. Portava i baffi e i suoi capelli, lisci e pettinati all'indietro, erano leggermente impomatati e divisi da una scriminatura appena evidente. Vestiva sobriamente, indossando spesso dei pullover con lo scollo a V, ma possedeva un'eleganza naturale che condiva con innata simpatia e indiscutibile senso dell'umorismo acuto e misurato che trasparivano anche dal suo sguardo gioioso.

Queste qualità, che aveva trasmesso pure alla sua famiglia, influenzavano favorevolmente anche la sua clientela e chi, passando da quelle parti, lo trovava affacciato alla porta del suo negozio per una breve sosta; inevitabilmente uno scambio di battute scherzose finiva sempre con un Sani! Tale saluto augurale, che sentivo formulare abitudinariamente anche da altre persone, espresso da lui così sentitamente emanava un'energia particolare che sembrava avvolgere il fortunato destinatario e preservarlo dalle asperità della vita.

Ignara del suo handicap alla gamba (aveva una protesi), ritenevo che quel suo incedere particolare fosse un'ennesima qualità che lo distingueva dalle altre persone. In effetti, sebbene il destino gli avesse giocato un brutto tiro, sapeva scherzarci sopra come pochi. A proposito di tiri, di questi se ne intendeva parecchio: era, infatti, un provetto ed assiduo giocatore di bocce, specie la domenica. Una giorno mio padre aveva portato con sé la mia sorellina Ivana di quattro anni al gioco delle bocce da Bruno. C'era anche Nani, che avvicinandosi a lei con l'amata sfera di metallo in mano le chiese: "Vuoi vedere che se mi butto la boccia sul piede non mi lamento?" E la boccia colpì il piede senza produrgli nessuna sofferenza. Questa prova di coraggio si ripeté più volte. Inutile dire che Ivana rimase sbigottita e appena arrivata a casa raccontò entusiasta ciò che aveva visto. Malgrado le avessimo svelato il mistero, lei lo ricordò a lungo come un episodio memorabile.

Ricordo i momenti in cui Nani si trasformava magicamente da sarto a barbiere ed assistevo a queste mutazioni affascinata e incuriosita. Non volendo perdermi nemmeno uno di quegli attimi, quando mi recavo da lui per farmi tagliare i capelli andavo difilato nel suo laboratorio attiguo al negozio per sorprenderlo, centimetro in spalla, nella sua attività di sarto. Nel frattempo davo un'occhiata ai manichini, testimoni silenziosi di prove e ritocchi, mentre sua moglie Angelina, anche lei molto simpatica, mi intratteneva fra una cucitura e l'altra.

Un'ultima imbastitura ed eccolo trasformato in inappuntabile barbiere, con pettine e forbici nel taschino del camice. Mi faceva accomodare nella poltrona a sinistra, quella dei suoi clienti - l'altra a destra era riservata ai clienti del figlio Duilio - mi avvolgeva nella cappa e iniziava la tosatura. Tutto quello sforbiciare e pettinare, unito a movimenti larghi e flessuosi delle braccia mentre mi girava attorno, mi ricordava un prestigiatore che aveva dato spettacolo a Quero durante un ferragosto. Mentre sforbiciava dava ogni tanto una fugace occhiata verso la vetrina richiamato da rumori o da voci oppure intratteneva piacevolmente me o altri clienti su argomenti sempre interessanti.

Terminato il taglio, si avvicinava alla parete dov'era appesa la coramella, uno strumento di cuoio utilizzato per affilare le lame del rasoio. Temendo che intendesse radermi la nuca come l'avevo visto fare a qualche cliente, stavo tesa e guardinga fino a che lo vedevo afferrare il pennello intalcato e l'ampollina di acqua di colonia. Allora, rilassata per lo scampato pericolo, mi lasciavo pennellare il collo e avvolgere dalla nuvoletta di profumo che Nani mi spruzzava addosso, inconsapevole imitatore di riti propiziatori. Poi mi faceva alzare e con un solo movimento magistrale mi toglieva la cappa facendola sapientemente volteggiare come il mantello di Zorro; così io, tosata e profumata, me ne tornavo a casa.


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