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Donatella Bizzotto

Erano due, sempre insieme.


Erano due, sempre insieme. Abitavano in via Nazionale in una casa color azzurro stinto. Non ho mai capito chi delle due era la maggiore, le distinguevo dal colore dei capelli: Antonietta li aveva bianchi, Domenica castani. Anche quando il nostro vento soffiava più forte, non ne avevano mai uno fuori posto.

A prima vista proprio simpatiche non erano; austere sì, sorridevano pochissimo e generalmente incutevano timore specie agli adulti che le avevano avute per maestre. Oggi, io credo le accompagnasse ancora quell’imprinting ricevuto all’inizio della loro carriera, quando non ci doveva essere alcun tipo di confidenza con gli scolari.

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Eravamo in seconda elementare, una classe enorme con quattro finestre e il pavimento di legno. I banchi erano di legno con il piano dipinto di nero e disposti in file ordinate; avevano un gancio per attaccare la cartella e il calamaio che dovevamo mantenere sempre pieno di inchiostro.

Davanti a me c’era Loris, una bambina con un nome da maschio che viveva con la nonna perché i suoi genitori lavoravano in Svizzera. Più avanti ancora c’era la stufa, enorme. Ci badava Lionello che era nel banco a fianco: d’inverno manteneva il fuoco acceso, spostava la cenere, afferrava voloce e leggero piccoli tizzoni ardenti caduti sul pavimento, soffiava sulla brace morente ravvivandola. Un eroe allora e anche nella vita, ché è diventato vigile del fuoco.

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Eravamo parecchi, quasi quaranta, e dovevamo rispettare assolutamente alcune regole per mantenere la disciplina, valore che sembrava prevalere rispetto agli apporti della moderna didattica:

1. durante le lezioni si faceva silenzio;

2. nei momenti di pausa bisognava tenere le mani sul banco oppure le braccia conserte;

3. ognuno manteneva rigorosamente il suo posto durante tutto l'anno;

4. per qualsiasi richiesta e comunque per poter comunicare, si doveva chiedere permesso alzando la mano;

5. non si poteva andare due volte ai servizi. Cosicché per i primi mesi dell’anno scolastico, quasi ogni giorno, si sentiva gocciolare e poco dopo, sotto il banco dei più timidi, appariva una chiazza liquida che si allargava velocemente sul pavimento di assi di legno; poi un pianto sommesso. Non era giusto, così un giorno che vidi la mia maestra nel suo giardino la chiamai dal cancello e glielo dissi.

Lei mi guardò a lungo con quei suoi occhi scuri, penetranti, poi mi chiese:

"Li hai fatti i compiti?"

"Io i compiti li faccio sempre subito dopo pranzo", le dissi.

E lei: "Vai a giocare, allora".

E bon.

Ma l'indomani, quando un bambino le chiese per la seconda volta se poteva "uscire", glielo permise, e da allora tutti i giorni. Poi lui si abituò ad andare in bagno solo una volta e così anche gli altri come lui, e ce ne dimenticammo.

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Le maestre Ostuni, come tutte le insegnanti di allora, durante le lezioni portavano un grembiule nero. Fuori, sobri tailleur di buona fattura oppure discreti twin-set ravvivati da un filo di perle sotto il cappotto o la pelliccia assieme ad un portamento distinto.

La mia maestra, Domenica, non aveva slanci affettuosi verso noi bambini; voleva rigore e studio ed era parca di voti alti, ma capivo che insegnava con passione. Non ne ero intimorita, le andavo incontro fiduciosa e lei ne era compiaciuta. Forse le piaceva come scrivevo e quel che raccontavo perché già allora con la penna avevo sempre tanto da dire nei miei lunghi, fantasiosi e dettagliati componimenti.

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Con Lionello - eravamo in terza ormai - ripassavo la geografia quando andavo a casa sua per comprare il latte delle sue mucche: i nomi dei capoluoghi di provincia e i loro monumenti più rappresentativi; le pianure, le colline, i monti e le vette più alte; i laghi, i principali fiumi italiani e i loro affluenti: ...Gli affluenti del Piave nella nostra provincia sono: il Boite, il Maè, l'Ansiei, il Mis, il Cordevole, il Sonna, il Tegorzo che fornisce d'acqua ben ventotto comuni (a quei tempi) della provincia di Treviso. E poi, lunghissima: C'era una volta un giovane ruscello color di perla, che alla verde valle, fra molti giunchi e pratoline gialle, correva snello... di Angiolo Silvio Novaro: la ripetevo con Lionello che mi accompagnava lungo via Indipendenza fin quasi all’incrocio con viale della Rimembranza allora delimitato da platani lungo tutto il suo percorso.

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Un giorno la mia maestra affermò che non le era mai capitato nella sua vita di insegnante di dare più di otto per un tema in classe; raccolsi la sfida e presi otto e mezzo raccontando la fantasiosa storia di un vaso da fiori che aveva il dono della parola e preferiva il rosolio all’acqua. Quando mi consegnò il quaderno di classe con quel voto, non so dire chi delle due fosse più soddisfatta.

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In quinta elementare cambiammo maestra: era piemontese ed aveva un nome bellissimo, Gemma.

Le signorine Ostuni tornarono per salutarci a Natale da pensionate portandoci due sacchi enormi di caramelle; in quell’occasione furono festeggiate anche loro, con tanto di direttore didattico (non quello di Un tema imperfetto), fiori e medaglie di ringraziamento per gli anni passati ad insegnare [nella foto io sono fra il direttore e la mia maestra].

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Le rividi alcuni anni dopo, ormai abitavano a Feltre. Avevano perso quell'invisibile armatura di soldatesse dell'istruzione, mostravano un sorriso gentile che rimaneva a lungo nell'espressione del viso; la mia maestra mi guardava con calore.

A distanza di anni le ricordo ancora; sempre insieme, naturalmente.


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