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Donatella Bizzotto

Una suora tuttofare


Ogni volta che rivedo Sister Act, immagino anche lei nel coro delle suore.

Fu una delle prime suore chiamate a gestire la neonata Casa di riposo e si fermò in paese per molti anni, occupandosi della gente finché le forze glielo consentirono. Di corporatura robusta, portava la bianca e inamidata armatura di suora con orgoglio, come se fosse stata una corona. Aveva un bel viso che alternava espressioni di grande severità, immensa dolcezza e forte stanchezza.

Lavorava molto, moltissimo. Ancora adesso, quando penso a lei, mi chiedo come riuscisse a svolgere le sue numerose incombenze, alcune delle quali pesantissime, con dedizione, entusiasmo e rigore. In Casa di riposo si dedicava ai vecchietti giorno e notte e prevalentemente da sola, aiutata talvolta dalla Superiora. Poi si occupava della lavanderia aiutata solo negli ultimi anni, che era più vecchia e i dolori alle braccia non passavano mai, dalla cara Isabella, un’ospite alla pari con un simpaticissimo sorriso monodente; controllavano i panni ad uno ad uno, li dividevano in mucchi secondo quanto erano sporchi, davano ad essi una prima passata per togliere il più grosso, li stendevano... Immaginate.

Suor Maurilia era anche insegnante di Dottrina Cristiana, appassionata ma estremamente severa e con delle opinioni tutte sue sul Bene e sul Male e sui popoli della Bibbia. Forse – penso oggi - per le influenze di certe teorie socioculturali presenti all’epoca della sua gioventù e la sua formazione religiosa preconciliare. Così, quando qualche nostra riflessione elementare ma logica si scontrava con la sua fede e le sue interpretazioni teologiche, e lei non voleva argomentare, socchiudeva gli occhi e avvicinava l’indice alla bocca per invitarci al silenzio; poi, con aria estatica, con quello stesso dito indicava il cielo. E amen.

In altre occasioni diventava prussiana. Dovevamo conoscere a menadito il libretto del Catechismo e se qualcuna di noi non aveva studiato ci anticipava visioni apocalittiche. Se invece dimostravamo di essere preparate ci ascoltava annuendo con gli occhi socchiusi, le mani in grembo e l'espressione beata. Questo, però, non le impediva di controllarci: se ci sorprendeva ad imitarla o a ridere, e succedeva spesso, prima ci fissava con un solo occhio, poi scattava come una molla e scura in volto ci interrogava di nuovo.

Chi ci ha creato? Ci ha creato Dio. Chi è Dio? Dio è l'Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra. Che significa perfettissimo? Perfettissimo significa che Dio è potenza, sapienza e bontà infinita. Che significa Creatore? Creatore significa che Dio ha fatto dal nulla tutte le cose. Che significa Signore? Signore significa che Dio è padrone assoluto di tutte le cose. Dio ha corpo come noi? Dio non ha corpo come noi, ma è purissimo spirito. Dov'è Dio? Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo: Egli è l’Immenso. Dio è sempre stato? Dio è sempre stato e sempre sarà: Egli è l’Eterno. Dio sa tutto? Dio sa tutto, anche i nostri pensieri: Egli è l’Onnisciente. Dio può far tutto? Dio può far tutto: Egli è l’Onnipotente. Dio può fare anche il male? Dio non può fare il male perché è bontà infinita.

Ricordo la sua crociata contro le gonne corte; non le minigonne che sarebbero apparse nel mondo della moda due anni più tardi, ma le nostre gonnelline di bambine che portavamo appena sopra il ginocchio secondo il costume di allora. Noi non sapevamo quanto una gonna avrebbe dovuto essere lunga, così lei ci fece inginocchiare: chi avesse avuto l'orlo che sfiorava il pavimento era a posto e voleva bene a Gesù e alla Madonna. Semplice.

Io non superai quel test. Tornando verso casa, pensai che anche i miei genitori rischiavano di beccarsi l’anatema se non mi procuravano la gonna della lunghezza adatta. Ne parlai con la Rosina che in religione aveva molte e profonde cognizioni e mi aveva insegnato a meditare. Lei prima controllò l’orlo per vedere se si poteva allungare la gonna, ma c’era solo un centimetro di stoffa; poi estrasse dalla scatole del cucito un pezzo di elastico con le asole, ne tagliò un pezzetto, e me lo sistemò in modo tale da allungare il giro vita della gonna la quale scivolò un poco verso i fianchi. 'Ecco, adesso è più lunga', mi disse. Dovevo solo fare attenzione che non mi cadesse se qualcuno me la strattonava giocando a prendersi.

Era il canto la passione di Suor Maurilia, e probabilmente anche la sua valvola di sfogo. La natura l'aveva dotata di una bellissima voce che sentivamo spiegarsi in assolo durante l’esecuzione degli inni sacri. Era una voce melodiosa con ampia estensione che Suor Maurilia aveva educato musicalmente da sé facendo fruttare il suo talento.

In effetti erano rare le cantatrici della Schola Cantorum parrocchiale che riuscivano ad imitarla raggiungendo senza sforzo le note vocali più alte. Lei ne era legittimamente orgogliosa, ma con discrezione. Solo qualche volta le scappò di cantare anche se non toccava a lei.

Un giorno la Superiora organizzò una festicciola d'addio per noi bambine e ragazze; aveva terminato il suo mandato a Quero e doveva incamminarsi verso un posto nuovo. Era una suora giovane con la quale eravamo entrate subito in sintonia. Rispetto alle altre suore, poi, aveva più tempo da dedicarci per giochi e attività di oratorio. Eravamo amareggiate e protestammo in coro: ‘Perché non mandano via Suor Maurilia che c’è da un sacco di tempo e lasciano qui lei, Superiora?’ Ma, dalle retrovie dove mi trovavo, mi accorsi che Suor Maurilia aveva sentito e piangeva, sola, appoggiata alla parete del corridoio. Cercai di raggiungerla, ma non potevo passare e poi volevo anch'io salutare chi se ne andava...

Molti anni più tardi ebbi l'occasione di far visita a Suor Maurilia, era ospite a Torino nella Piccola Casa del Cottolengo. Mi riconobbe subito. Prendendomi per mano volle accompagnarmi in quella che era la sua stanzetta, un piccolissimo spazio protetto da una specie di baldacchino con quattro tende immacolate. Di quei baldacchini ce n’erano una ventina nel camerone che ospitava tante altre vecchie suore malate come lei. Fra le quattro tende, poi, c’erano solo un letto e un comodino, tutto estremamente semplice, pulito e dignitoso com’è lo spirito del Cottolengo.

Un po’ a disagio per non poter farmi accomodare su una sedia, mi fece sedere sul letto e mi offrì una mentina, intanto mi accarezzava le mani. Parlammo. Le chiesi se ricordava quell'episodio, volevo scusarmi; lei mi guardò, mi sorrise triste e ci abbracciammo.


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