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Donatella Bizzotto

Da Bruno


Era la tipica bottega di paese, annessa all’abitazione, con vendita di alimentari, ferramenta e prodotti per la casa. Entrando, si aveva l’impressione che Bruno stesse aspettando proprio noi. Affabile e dinamico, ci accoglieva inchinandosi lievemente, sorrideva cortese e si metteva a nostra disposizione, attento, pronto a servirci. Aveva un fisico asciutto, i capelli grigi ordinatamente pettinati all’indietro, gli occhi chiari e il viso meticolosamente sbarbato. Indossava un camice da lavoro sempre pulito e stirato nel cui taschino alloggiava una matita piatta da carpentiere che finiva su un orecchio nei momenti di maggior lavoro, quando Bruno era concentrato in conti e misurazioni o doveva registrare l’importo della spesa quotidiana nei libretti dei clienti abituali e il negozio era affollato.

Attigua al negozio c’era l’osteria dalla quale, scesi pochi scalini, si raggiungeva un piccolo cortile e il rinomato e frequentatissimo gioco delle bocce. All’ombra del grande albero c’erano sedie per il pubblico e due campi di sabbia battuta circoscritti da assi di legno e divisi da una trave. I punti venivano segnati su due tabelle a forma di orologio appese a un palo dell’illuminazione.

Giocatori ce n’erano sempre e chi non poteva giocare si accontentava di guardare.

I ciclisti di passaggio scambiavano battute attraverso la rete di recinzione con gli avventori seduti ai tavolini nel cortile mentre Bruno, in grembiule corto, si muoveva agile servendo le consumazioni con dei vassoi pubblicitari della Recoaro o della birra Pedavena.

Passando da quelle parti si sentiva il rumore sordo delle bocce che cozzavano fra loro e contro le assi che delimitano i due campi, seguito dalle esclamazioni di stizza o di giubilo dei giocatori e del loro piccolo pubblico che, con occhio critico, ai tiri decisivi si alzava in piedi per vedere meglio e nei casi dubbi diventava arbitro.

Flash di un piccolo mondo scomparso.

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