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Donatella Bizzotto

Il centro del mondo


Nell’immediato dopoguerra era un vasto spiazzo rettangolare sterrato dove si fermavano le giostre. Più avanti, negli anni Cinquanta, diventò un giardino pubblico con aiuole, vialetti e panchine, delimitato come ora da via Nazionale, via Dante e via XXXI Ottobre.

Su di essa si affacciavano il Municipio, le Poste e il posto di telefono pubblico, la caserma dei Carabinieri, l'ambulatorio della levatrice condotta e del medico condotto (rispettivamente la signora Vanin e il dottor Bortoluzzi), l'abitazione del veterinario condotto, un'agenzia della Cassa di Risparmio di Verona Vicenza e Belluno con annessa esattoria oltre a una serie di attività commerciali e di servizio pubblico: la pesa, l'autonoleggio con conducenti, la rivendita di bombole del gas e dei giornali, la fermata delle corriere per Feltre, Valdobbiadene e Montebelluna, il sarto-barbiere, negozi di alimentari, frutta e verdura, di tessuti, un falegname, un albergo, due bar e, a dieci metri su via Nazionale, la farmacia. Era, insomma, il centro politico-amministrativo, sanitario e commerciale del paese nonché il punto d'incontro delle persone che si ritrovavano in occasione del disbrigo di loro commissioni.

Per quei tempi era una piazza animata e bellissima e per noi che ci abitavamo attorno era il posto in cui giocare insieme.

Il suo perimetro, circoscritto da alberi rigogliosi e da siepi di conifere che si interrompevano a precisi intervalli come porte invisibili per permetterci di entrare, era percorso da viali spaziosi lungo i quali c’erano comode e robuste panchine di ferro verniciato. Dai quattro angoli perimetrali partivano verso la parte centrale vialetti bianchi e ghiaiosi delimitati da siepi di bosso che formavano spazi verdi e geometrici in cui vegetavano conifere e grossi cespugli di spirea.

Al centro c'era la fontana. Sorgeva su uno spiazzo di cemento ed era attorniata da quattro panche di pietra e aiuole di bosso, rustiche rose rosse e alberelli di ibisco. Di forma ottagonale, aveva uno zampillo alto e sempre allegro che, sospinto dal nostro vento, spruzzava i distratti che passavano di là.

Periodicamente Menico Dèo, lo stradino comunale, la svuotava e la puliva. Per noi bambini che abitavamo là intorno era sempre un evento di grande interesse e se qualcuno mancava si correva a chiamarlo, specie nella bella stagione, perché sapevamo che Menico avrebbe versato nell'acqua pulita alcuni pesci rossi. Aspettavamo quel momento con gioia e trepidazione: con gioia perché la fontana diventava il nostro acquario che non ci stancavamo di guardare sdraiati in equilibrio sul bordo con le mani penzoloni a toccare l'acqua e le gambe a fare da contrappeso, anche se bisogna dire che questa tecnica di bilanciamento non funzionava sempre e allora splash!, si finiva dentro; con trepidazione perché i pesci sparivano magicamente poche notti dopo il loro arrivo. Ogni volta era una delusione ma ci consolavamo subito sapendo che Menico li avrebbe rimpiazzati alla prossima pulizia della vasca e forse ci avrebbe permesso di bagnarci i piedi quando l'acqua era pulita e ancora bassa e Toni Cioca il vigile non si vedeva in giro. Erano momenti esaltanti che duravano sempre troppo poco perché, sul più bello, arrivava Toni - il quale era stato a guardarci divertito di nascosto - che con cipiglio severo e ad alta voce minacciava una terribile multa. Allora schizzavamo fuori tutti; solo il più temerario dallo sguardo vispo, Dorino, si attardava per assaporare ancora un attimo quel piacere ma il vigile faceva alcuni passi verso di lui battendo rumorosamente i piedi ed ecco che anche il nostro eroe se la dava a gambe, velocissimo e imprendibile. . Piazza Marconi viveva il suo grande momento in agosto. Nei primi anni Sessanta in paese soggiornavamo molti villeggianti e l'amministrazione comunale faceva del suo meglio per festeggiarli assieme agli km emigranti che tornavano a casa. Così la piazza era illuminata da luci colorate, animata da musiche e persone. Un anno, credo nel '64, diede spettacolo anche un fachiro-prestigiatore-ipnotizzatore, che ovviamente coinvolse il pubblico ottenendo grande successo. Ho ancora presente la verve del conduttore Bruno Bagatella, che poi andò a vivere a Pordenone, e la performance da ipnotizzato di Arturo Dalla Piazza e di altri ragazzi che salivano sul corpo del fachiro disteso sul letto di chiodi. Per noi bambini era tutto incredibilmente possibile.

Poi, a Ferragosto, Jacopét disponeva di buon'ora le transenne di corda attorno alla fontana, poi estraeva grasse anatre da stie di rami di salice simili a questa della foto e le metteva nell’acqua. A metà mattina, quando ormai il pubblico era abbastanza numeroso, si apriva la gara. Per pochi soldi si ottenevano cinque cerchi di vimini che, lanciati secondo regole opportune, dovevano centrare il collo delle anatre. Qualcuno ci riusciva e tornava allegro verso casa con l'anatra starnazzante sotto il braccio, scambiando commenti e battute con chi incontrava. Ma a casa nostra la pesca dell'anatra era interdetta; mia madre e mia nonna non sopportavano nemmeno l'idea di un volatile da spiumare e mio padre e mio zio, che pur ne avrebbero mangiato volentieri un pezzetto arrosto, si accontentavano di scherzare promettendo loro che ne avrebbero vinte addirittura due. . I giardini di piazza Marconi erano tenuti sempre in ordine da Menico che potava le siepi ad intervalli regolari. In quegli anni non esisteva la strada statale che c'è adesso né la Sinistra Piave, così chi andava verso Belluno e oltre doveva per forza attraversare Quero. Ecco che una sosta ristoratrice nei giardini di Quero, specie dopo la salita della Calnova, era quasi d'obbligo. Gli autisti e i rappresentanti di commercio andavano al bar, ma altri viaggiatori o le poche famigliole che avevano l'automobile acquistavano il pane fresco e poi confezionavano panini che si mangiavano seduti sulle panchine.

All'inizio di un'estate accadde un evento straordinario. Stormi di uccelli avevano deciso di dimorare fra i rami degli alberi della piazza, sporcando panchine e persone. Vennero convocati i cacciatori del paese e. verso sera, quando arrivarono gli storni, la popolazione fu invitata a chiudersi in casa. Poco dopo si sentirono gli spari. Quei pochi uccelli che rimasero vivi non tornarono più e la piazza continuò la solita vita.


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