Fai buon viaggio
Avrà avuto poco più di una decina d’anni, Giacomo, quando venne accolto dalle suore cottolenghine nella casa di riposo; nel suo bagaglio c’era una storia esistenziale pesante, dolorosa: era morta sua mamma che non si era più ripresa dalla morte del marito - il papà di Giacomo - mancato anni prima. Così la mente di Giacomo rimase nel limbo delle cose sospese, perenne bambino, sempre cercando una figura femminile rassicurante come una madre che si prendesse cura di lui. La trovò nelle suore, che nel pieno spirito del loro santo fondatore andarono oltre il principio dell’assistenza: lo accettarono, lo amarono, lo rispettarono, lo educarono, lo protessero. La trovò nelle operatrici della casa di riposo fra le più sensibili e gentili e nelle volontarie pazienti e amorevoli verso alcune delle quali Giacomo ebbe una vera predilezione. Molte persone in paese gli vollero bene, diverse famiglie gli aprirono le porte delle loro case; lui cercò sempre di ricambiare le piccole attenzioni ricevute con atti gentili appresi per imitazione come succede ai bambini.
Mamma! Dammela, quella carezza rimasta in sospeso, prima di andartene. Me la merito. Vengo a prenderla, vengo da te.
Non è stato l’unico, Giacomo, tra i Buoni Figli della famiglia cottoleghina del paese: quando lui arrivò, c’era Piero, sempre inappuntabile nel suo grembiule nero e così magro che Toni Resegati gli riempì le guance con due calotte di mela in occasione di una foto per la carta d’identità; Olga, che quand’era di buonumore giocava con noi e ci ha lasciato solo da qualche anno; Isabella, con quel suo grande sorriso monodente che metteva allegria anche ai più musoni e tutti i bambini le volevano bene, riamati. Tutti loro, nella casa di riposo San Giuseppe (Benedetto Cottolengo), trovarono un ambiente non solo assistenziale ma anche e soprattutto un luogo dove poter fare un’esperienza di amicizia, di relazione, dove anche la fragilità della vita veniva condivisa senza farla sentire un peso ma riconosciuta nella propria dignità.
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